Traghettando da "Nessuno mi chiese mai" ad "Ascoltate i miei figli"

Roberto Musì anticipa straordinariamente il passaggio dal mio primo testo Nessuno mi chiese mai. L'amore delle donne tra sudditanza e immaginazione al secondo Ascoltate i miei figli. Un raggio di sole nell'impossibile, in quanto anche del secondo aveva letto le poesie, quando ancora non erano ordinate e sistemate. Anche il suo interesse verso i miei lavori è stato da sprone alla nuova pubblicazione per cui è con grande piacere e immenso orgoglio che ospito questa sua recensione nel mio blog.


Le Eolie viste da Amantea
Le Eolie viste da Amantea

Ho avuto modo di leggere alcune tue poesie che sono comunque riuscito a trovare sul web e tratte dalla silloge dal titolo “Nessuno mi chiese mai”. Da quello che mi è parso di capire, questa raccolta è la tua fatica maggiore, nel senso che, verso tale impegno ti sei dedicata, come dire, anima e corpo! A dirla tutta poi, ho visto che sul web sei presente con molte note critiche e naturalmente con altre tue liriche. Ho avuto anche modo di leggere un consistente numero di tue liriche, almeno una ventina. Certo non è l’intera tua raccolta, ma credo bastino a far comprendere in quale direzione si muove la tua poesia. Le ho lette con molto piacere e con l’attenzione che meritano cose di questo genere. Perché devo dirti che, dedicandomi da anni alla lettura sistematica di testi in prosa e in versi[1], penso di poter comprendere i tratti salienti della tua scrittura. 

 

 

Ho letto i molti commenti sulle tue poesie che ho pure apprezzato e tutta quella vasta tematica che tu tratti; ho notato inoltre che, tutto questo, è stato analizzato con la dovuta attenzione critica ed anche con quello affetto solidale, specie di donne che hanno voluto darti tutta loro vicinanza ed una loro personale lettura critica dei temi da te affrontati.

 

Come ho potuto costatare, una lunga serie di temi e problematiche toccano i tuoi versi, quali, la ricerca interiore, l’amore, il dolore, la malinconia, il perdono, la verità… imbrigliata, la memoria, il senso di ribellione, il tempo, l’autocoscienza, ecc.. Insomma una gamma immensa dell’umano operare e del vivere, che tu esplori e rimescoli, percorri ed attingi, fino a giungere ad una decantazione che rende più leggero il nostro “fatale andare”: “l’orizzonte s’apre nella limpidezza/ dello sguardo”… “M’aggrappo al defluire del tempo// sempre sfugge incredulo”…

 

 

Poi, mi pare, e lo dicono i critici che sono andati più a fondo nella  comprensione della tua ricerca poetica, di rilevare quello che s’impone come centro della tua ispirazione lirica, cioè il canto che tu elevi alla figura femminile, quello che tu chiami L’amore delle donne tra sudditanza e immaginazione, e qui l’abbraccio forte e vigoroso con una serie di donne (da Penelope a donne dei nostri giorni che anche la cronaca stessa, per qualcuna, ha finito coll’innalzarle a figure di significato universale) e che, per te assurgono ad una sorta di simbolo da cui trarre i significati più profondi della nostra vita come il dolore, la speranza, il senso di ribellione per le quali tu adotti una specie di “empatia a distanza”.

 

Anche la nota uscita sulla rivista Euterpe ha ben focalizzato, a proposito delle donne che nella storia hanno lasciato una loro impronta, i concetti che sono alla base delle tue liriche. Insomma sotto quest’aspetto le tue prove poetiche, puoi ben dire, hanno avuto una bell’accoglienza ed ho letto con piacere le note critiche che ti hanno dedicato i tuoi estimatori. E tu, nella lunga intervista di qualche anno fa rilasciata appunto, ad una tua estimatrice, Angela Ponente che, tra l’altro, ha saputo cogliere i temi fondamentali della tua poesia, hai alla fine e sommativamente messo ben in evidenza le ragioni che danno vita ai tuoi versi, e hai parlato anche di una certa calabresità: … Laddove troviamo concretizzati i valori della terra, ostinazione, caparbietà, la molla a vivere stringendo i denti sacrificando fino all’ultimo la propria esistenza... Così ti esprimi e soffermandoti poi a riflettere anche sull’essere donna in Calabria hai detto inoltre altre cose, molto puntuali.

 

Bene, anche questo rende ancora più interessante il tuo generale percorso poetico.

 

Ma c’è una cosa che mi ha colpito delle tue liriche, al di là di tutto quello che ho detto perché ne ho preso visione leggendo tutto quello che hanno scritto su di te. Insomma mi sono, in certo senso, dovuto documentare, ma poi mi sono affidato al mio intuito personale, alla mia sensibilità di lettore onnivoro, quale mi reputo di essere, cioè di colui che vuole saggiare, gustare le parole di un testo che scorre sotto i miei occhi. Ed ho trovato alcune cose che hanno colpito la mia attenzione: il ritmo leggero di un costrutto piano e lineare, il senso di un’aerea asciuttezza, una grammatica (anche dei sentimenti) che si muove in modo scorrevole. Tutte queste cose ed altro che dal tuo talento poetico vengono fuori quasi naturaliter (dico quasi perché in te c’è sicuramente la conoscenza precisa della storia della letteratura italiana ed europea), disegnano un mondo poetico ben strutturato dove ogni cosa ha un suo posto ed un suo ordine. Un mondo poetico popolato soprattutto da donne-simbolo che diventano ad un certo punto, tue creature che si muovono entro le immense coordinate di una società che ha bisogno soprattutto di migliorare, specie la nostra, quella nella quale viviamo giorno per giorno, con tutti i difficili problemi che presenta. Una società malata la nostra ma protesa alla speranza, senza la cui spinta, non debba e non possa mai spegnersi il senso di riscatto e di rinascita che è insito nel cuore di ogni essere umano.

 

 

 

                                 Roberto Musì

 

 

 Amantea, ottobre 2015

 

 

 

POESIE di riferimento

 

Da questo sponda, Enigma e perdono, Evanescenze, Effimero, Il cuore del cuore, Leggerezza, Attesa, Primavere, Diane…..

 



[1] Ritengo quale bussola principale da anni di questa passione, la lettura assidua di una bellissima rubrica della rivista Espresso (di cui in questi giorni a Roma ricordano i  60anni) formato lenzuolo degli anni 60, che si chiamava Lettore di professione, e la teneva un certo Paolo Milano (che si occupava unicamente di romanzi e libri di poesia editi per conto di grandi e piccole case editrici, cioè scriveva le recensioni). Un grandissimo critico letterario, credo sconosciuto ai più e a torto dimenticato dai media di oggi che inseguono, “costruttori” di facili parafrasi e commenti a caldo, spesso provocatoriamente cattivi.