Una firma per tutelare il "bene comune"

Fino al 20 agosto. A favore della Legge di iniziativa popolare del Comitato "Stefano Rodotà"

L’aria che si respira se è di tutti vuol dire che non è di nessuno e quindi può essere anche inquinata? No, è un bene comune.

E l’acqua per la quale abbiamo sottoscritto nel 2011 un referendum è di chi ne possiede di più e può quindi inquinarla? No, è un bene comune.

E i fiumi, i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate? Anche questi sono tutti “beni comuni”.

E perché proprio ora un interesse tanto alto per la loro tutela?

Perché siamo ad un punto di non ritorno dal punto di vista ecologico e sentiamo la responsabilità etica di pensare alle prossime generazioni; perché cinquantamila firme hanno il potere di modificare abitudini e una cultura dello spreco e dell’abbandono, comportamenti tesi a sfruttare l’ambiente per ricavarne il massimo beneficio economico; perché manca una chiara definizione giuridica di cosa sia “bene comune”, differenziandolo da “bene privato” e da “bene pubblico”; perché il bene comune non può essere svenduto per fare cassa ed impoverire la collettività.

 

La legge di iniziativa popolare, che recupera in toto quella della Commissione Rodotà del 2007, risponde alle perplessità che l’invadenza tecnologica e di una società sempre più tecnocratica impongono alla ragione. E risponde alle esigenze collettive di comprendere e gestire una complessità sociale che sembra sfuggirci di mano e portarci al collasso. È ormai chiaro che occorre un’inversione di marcia rispetto a politiche di mercificazione di quel patrimonio collettivo sul quale possiamo esercitare i nostri diritti fondamentali e il libero sviluppo della persona umana e che devono necessariamente essere salvaguardati perché utili anche per la vita delle generazioni futuri. Per la Commissione Rodotà esprimono “utilità funzionali”, interagiscono sul nostro modo d’essere e di relazionarci. Il loro mantenimento ci garantisce il fruire delle libertà democratiche e civili e per questo debbono essere collocati fuori mercato e governati nell’interesse delle generazioni future.

Il Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, costituito il 30 novembre 2018 - si legge sul sito generazionifuture.org - vuole riconsegnare il futuro dell’Italia in mano ai suoi cittadini, creando i meccanismi giuridici per opporsi alla sua svendita. E non a torto parla di svendita visto che da decenni i beni pubblici che sarebbero anche beni comuni sono stati interessati da ondate di privatizzazioni. La quantificazione delle vendite a privati, dal 1990 ad oggi, ammonta a 900 miliardi di euro. Un patrimonio di boschi, colline, interi borghi e palazzi storici, riserve idriche, infrastrutture e collezioni artistiche in mano a privati. Un patrimonio ancora pubblico non valorizzato, trascurato, gestito per il risparmio. Ogni volta che un governo non riesce a mantenere sotto controllo il Pil ricorre alla vendita degli immobili pubblici per fare cassa; così il piano di svendita anti-deficit, varato appena un mese fa, che si stima in 1,2 miliardi di euro destinate a ridurre il debito pubblico. Una quantificazione che non prende in considerazione il danno comune nella perdita di un tale patrimonio, l’assottigliamento dei diritti individuali e il conseguente aumento di conflittualità sociale.

 

La legge di iniziativa popolare è stata proposta alla Corte di Cassazione il 18 dicembre scorso. La raccolta firme è iniziata a febbraio ed è diventata endemica negli ultimi mesi con banchetti in tutta Italia. Abbiamo ancora pochi giorni per firmare, fino al 20 agosto. Poi  i moduli con le firme raccolte andranno spediti al Comitato nazionale di controllo che li invierà alla Corte di Cassazione per il 31 agosto.  La raccolta di 50mila firme consentirà al Comitato nazionale di acquisire il potere costituzionale per presentare l’iniziativa legislativa in Parlamento alla stessa stregua di un parlamentare o di un gruppo parlamentare.

 

Francesca Rennis


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