(Almeno) sei ragioni alla base del nostro “No”                       a questa ri-forma (“RenziBoschi”) della Costituzione italiana

di Silvio Gambino e Walter Nocito

“Comitato Democrazia Costituzionale - Comitato per il NO” e Docenti di Istituzioni di Diritto Pubblico, Università della Calabria

Dibattito all'UniCal tra Silvio Gambino e Salvatore Vassallo
Dibattito all'UniCal tra Silvio Gambino e Salvatore Vassallo

La riflessione che ora proponiamo al lettore non vuole essere di tipo accademico bensì di tipo militante, vuole cioè proporre argomentazioni in sostegno della difesa della Costituzione italiana da una revisione sbagliata e inadeguata nei contenuti e sopratutto fortemente preoccupante per gli effetti che produce insieme (“in combinato disposto”) con la nuova Legge elettorale ipermaggioritaria approvata dal Parlamento sotto il regime del ‘Patto del Nazareno’.

 

La cultura costituzionalistica italiana ha assunto, e assume, come indisponibili al cambiamento/revisione costituzionale i “Principi costituzionali fondamentali” e le disposizioni di garanzia dei diritti costituzionali contenuti nella prima parte della Costituzione (artt.1-54 Cost. it.), non certo le disposizioni organizzative della seconda parte (artt. 55-139 Cost. it.). Ciò è vero e non è necessario che ce lo ricordino, ad ogni piè sospinto, gli “apologeti del SI”. “Principi fondamentali” e “diritti costituzionali” fanno parte in modo organico del (perfino immedesimandosi con il) Principio democratico sancito nel primo articolo della Costituzione e con la forma repubblicana garantita come immodificabile dall’art.139 (la ‘norma di chiusura’ della Carta).

La Corte costituzionale, il ‘giudice dei diritti e dei poteri’, ha da tempo solennemente sancito tale concetto irreversibile a meno di ‘rotture costituzionali’. Anche le maggioranze di centro-destra negli ultimi vent’anni, quando hanno perseguito (coma fa l’attuale maggioranza guidata dal ‘cerchio magico’ del PD) l’obiettivo di riformare la Costituzione non avevano in mente di mettere mano alla parte valoriale e di principi della Costituzione.

Quindi, la revisione costituzionale voluta dal duo Renzi-Boschi – dopo le cattive esperienze della Bicamerale (stoppata dal leader delle destre) e della revisione del 2005 bocciata dal Popolo è - nei fatti – nel metodo e nel merito - una brutta riforma di cui non si avvertiva il bisogno in un’Italia e in un’Europa attanagliate dalle crisi (del debito, del terrorismo, dell’immigrazione, della disoccupazione).

 

Certo, non ogni previsione di riforma merita una valutazione negativa ma quella che ne è l’architettura portante merita di certo una valutazione a tutto tondo negativa. Come alcuni di noi sostengono da tempo (dal marzo 2014, anno in cui il Governo Renzi, nel primo mese di sua operatività, la varò) il duo Renzi-Boschi ha cercato di imporre alla Repubblica una “Costituzione di minoranza” che assume come storicamente ineluttabile una “democrazia dell’onnipotenza” (così Luigi Ferrajoli, in www.questionegiustizia.it/stampa.php?id=1004), obiettivo e strumento di una “democrazia di investitura” cha fa saltare ogni aggancio al parlamentarismo democratico inteso come “democrazia di mandato”.

 

Negli ultimi mesi con particolare sicumera, il Presidente del Consiglio Renzi ha messo in gioco la sua permanenza in politica (oltreché al Governo) all’esito positivo del pronunciamento referendario popolare dell’autunno 2016. Ma, fra la Costituzione e un singolo Leader politico di governo non ci può essere partita, a meno che i toni populistici non prendano pieghe allarmanti per la tenuta della democrazia costituzionale, per i suoi equilibri, per le prospettive di coesione sociale del Paese. Chi lo facesse (come lo sta facendo, abusando dei media televisivi e del potere della carica istituzionale) si assumerebbe una grave responsabilità in primis politica, dal momento che, in tal modo, metterebbe in gioco il progetto democratico alla base della Carta, e con esso il pluralismo politico e culturale del Paese. Chi ha lanciato questa sfida (che ha il sapore agre del Plebiscito sull’investitura, quasi si chiedesse una ‘cambiale in bianco’ in favore di un ceto politico che si auto-qualifica maturo e moderato) ha fatto proprio male per vari e variegati motivi.

 

Individuiamone 6.

 

1. Ha fatto male perché la Costituzione italiana (con l’apporto che, nei 70 anni che abbiamo alle spalle, ha assicurato alla pace e alla democrazia) non lo merita. Non merita di essere trattata come un capro espiatorio di colpe altrui (le colpe della politica che si scaricano sul testo costituzionale).

 

2. Ha fatto male perché la Costituzione italiana non è una “legge” qualsiasi disponibile ad essere trattata con la logica delle maggioranze e delle opposizioni parlamentari. La Costituzione è invece una “Tavola alta di valori”, un patto di civiltà politica, un “armistizio” tra forze belligeranti, che non può essere (mal-)trattata (a partire dalla procedura parlamentare di revisione) con la supponenza e il piglio maggioritaristico e plebiscitario del leader pigliatutto, con suggestioni bonapartiste e golliste di tutta evidenza alla lettura dei testi di revisione!

 

3. Ha fatto male perché il mix di interrelazioni fra testo di revisione costituzionale e legge elettorale (iper-maggioritaria) mette gravemente in gioco gli equilibri della democrazia costituzionale a partire dalle sue risalenti basi liberal-democratiche. In particolare con tale revisione si mettono in gioco i rapporti fra i diversi poteri costituzionali attivi (soprattutto Parlamento e Governo) che, nelle democrazie costituzionali, devono rispondere in modo necessario ad esigenze di bilanciamento e di contrappeso, in modo che un potere costituzionale giammai possa sopraffare l’altro. E comunque giammai coinvolgendo in questo processo di revisione/riforma l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, da una parte, e l’autonomia dei poteri/soggetti chiamati a svolgere funzioni di garanzia costituzionale nell’ambito della giurisdizione costituzionale (Corte costituzionale), in quella ordinaria (CSM), nella revisione costituzionale (art. 138 Cost.) e da ultimo nella nomina delle cd Autorità indipendenti di garanzia (compreso il servizio radio-televisivo). Gli equilibri costituzionali vengono messi in questione dall’Italicum in tema di potere di nomina, da parte del solo partito che vince le elezioni, dei componenti gli Organi di garanzia (Presidente della Repubblica, un terzo dei giudici costituzionali, tutti i membri laici del CSM e dei consigli di presidenza delle magistrature speciali, nonché delle varie Autorità di garanzia).

 

4. Ha fatto male perché, se si rispettano i principi appena richiamati, nulla impedirebbe di intervenire sulla seconda parte della Costituzione se, appunto, l’obiettivo non fosse che quello della mera ‘manutenzione’ costituzionale, qualora non realizzabile mediante mere leggi ordinarie, regolamenti parlamentari, prassi e convenzioni costituzionali (sempre nella disponibilità delle forze politiche).

 

5. Ha fatto male infine perché nell’attuale fase di crisi dei partiti politici è necessario tenere lontano dalla lotta politica il testo della Costituzione. I partiti oggi non sono più quelli che erano presenti nell’Assemblea costituente (forze politiche marxiste, cattoliche e laico-risorgimentali).

 

6. Quando su singoli punti di revisione il Paese (e le forze politiche che si addensano su poli ben lontani dal bipolarismo ipostatizzato dagli apologeti del SI) troverà l’accordo sulla revisione degli istituti costituzionali ‘organizzativi’ si potrà procedere alle revisioni non trascurando che il testo costituzionale (all’art. 138) ben chiarisce tale passaggio quando prevede che l’approvazione di un testo di revisione con maggioranze qualificate impedisce (ai soggetti costituzionalmente legittimati a farlo) di avviare procedure di referendum costituzionale oppositivi. Questo chiarisce, si spera una volta per tutte, come la pretesa dell’attuale leaders governativo (debolmente contrastato da altri leaders del suo stesso partito) di voler occupare interamente il proscenio (o l’arena) costituisca una grave pretesa ‘populistica’ (‘populismo d’alto’, tollerato oggi molto più del ‘populismo dal basso’).

Tale ‘populismo d’alto’ – e qui sta l’ultima ragione per il nostro NO - è inaccettabile nella democrazia repubblicana conformata al testo costituzionale vigente che non è caratterizzata solo e semplicemente da un astorico metus tiramni (come spesso sostenuto dagli apologeti del SI), ma contiene norme di favore, sempre e in varie forme, per il pluralismo politico, sociale, economico e culturale. Per una concezione articolata dei poteri e una funzione positiva del conflitto e del confronto nella cornice delle regole civili.

 

Individuati i 6 vari e variegati motivi che in termini politici e politico-costituzionali ci fanno rigettare la “Costituzione di minoranza” proposta dal duo Boschi-Renzi come obiettivo e come strumento (neanche molto raffinato!) per un progetto di “democrazia di investitura” che sfonderebbe verso un’imminente “Terza Repubblica” (che nascerebbe sulle calde ceneri della “Seconda Repubblica”) esporremo di seguito le nostre principali valutazioni alla base dell’impegno referendario che chiede un NO a queste riforme per aprire ad altre e migliori riforme. Anzitutto “superare il bicameralismo paritario” era fattibile ma farlo come è stato fatto ha costituito un errore, che ha violato al contempo la riconoscibilità costituzionale dei poteri del Senato e messo in questione la stessa legittimità democratica alla base delle procedure previste per l’elezione dei senatori.

 

Dunque, una revisione perseguita in modo incoerente e sbagliato; un bicameralismo ‘azzoppato’ piuttosto che un bicameralismo ‘superato’, per come talora proclamato. Il “superare il bicameralismo paritario” poteva essere l’occasione di conformare il Senato alle più valide esperienze di regionalismo cooperativo e finanche di federalismo, come l’esperienza tedesca. Quello che accadrà con la riforma del bicameralismo voluto dalla maggioranza parlamentare sarà un organo costituito in modo da rappresentare, più che le regioni in quanto tali, le forze partitiche che saranno all’origine (delle candidature e delle elezioni indirette) dei 94 componenti del Senato presuntamente ‘autonomisti’. Ciò con tutte le conseguenze di condizionamento dei poteri che tali rappresentanti svolgeranno nei delicati e complessi compiti legislativi o meno loro (comunque) riconosciuti con formule attributive invero caotiche. Inoltre deve rimarcarsi come un tema piuttosto tecnico (poco consono alla metodologia referendaria), e invero oggetto di valutazioni generalmente problematiche, sia quello della nuova (più articolata e complessa) configurazione dei procedimenti legislativi che vengono differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato, con rischi di nuove incertezze e conflitti. Dobbiamo poi rimarcare come il ‘nuovo’ ordinamento regionale-locale (artt. 114-133) che risulterà dalla revisione è molto indebolito nei poteri e nel relativo grado di autonomia. Un’autonomia in ogni caso che sarà cedevole a fronte dell’esercizio a tratti poco prevedibile della competenza statale e senza aver previsto validi e necessari strumenti di cooperazione fra livello statale e livello regionale. Anzi la chiusura sulle necessarie modifiche alle Regioni “a statuto speciale”, e su una trasformazione in senso macro-regionale lascia pensare che le due tare storiche non siano state nemmeno percepite dal progetto Boschi–Renzi di revisione (eppure il partito di maggioranza ha al suo interno idee su tali temi di funzionalità istituzionale e di semplificazione politica).

Non possiamo poi non rimarcare come un tema preoccupante sia quello dovuto agli effetti dell’impatto della riforma elettorale sulla formazione e sul funzionamento del Governo, che risulterà legittimato sostanzialmente in modo diretto dal Corpo elettorale, con evidenti conseguenze di sbilanciamento con i poteri del Parlamento e le competenze della Presidenza della Repubblica. Con questa riforma costituzionale che dovremo respingere in autunno (in combinato con la riforma elettorale), cambiano in modo netto le condizioni di funzionamento della forma di governo parlamentare ora vigente, muovendo verso una nuova forma di governo parlamentare senza “contro-poteri” a garanzia che l’Esecutivo non possa sottoporre al suo volere gli altri due poteri (quello legislativo e quello giurisdizionale). L’indirizzo di riforma costituzionale e legislativo, in altri termini, non ha intrapreso esplicitamente la strada di una forma di governo di tipo presidenziale (che molti pure apprezzerebbero), ma si è limitata, sostanzialmente, ad emularne le forme di legittimazione politica fondandosi sull’investitura “quasi diretta” (“come se”) del Premier: il duo Renzi-Boschi, così, si è limitato ad anticipare possibili, futuri, indirizzi di revisione in tal senso, che un eventuale consenso referendario, in autunno, porterebbe – con intenzioni neanche troppo recondite a sentire la Ministra delle Riforme - a trasformare in un nuovo indirizzo di revisione, di tipo espressamente gaullista, poujadista … o fors’anche peronista. Infine, con riguardo all’Italicum (croce e delizia del ‘Patto del Nazareno’ e del primigenio accordo delle ‘maggioranze differenziate’) dobbiamo esprimere, dal canto nostro (che abbiamo partecipato alla giusta demolizione giudiziaria del Porcellum nel 2014), precise e fortissime preoccupazioni sulla compressione operata da questa legge del pluralismo politico nel Paese. Esiste, con riguardo all’Italicum, una preoccupazione, abbastanza diffusa nelle forze politiche e culturali italiane, relativamente non solo all’inevitabile “compressione del pluralismo”, ma anche relativamente alla sua stessa legittimità costituzionale, quando si consideri che la nuova legge elettorale procede all’assegnazione del ‘premio elettorale’ alla lista che vince anche solo al ballottaggio, senza alcuna considerazione del consenso reale registrato dalla stessa al primo turno (l’assegnazione del premio elettorale, inoltre, avviene senza alcuna previsione di un numero minimo di elettori partecipanti alla votazione).

 

Se l’Italicum non segna una vera discontinuità rispetto alla legge già censurata (sent. n. 1/2014) dalla Corte costituzionale, la situazione che si verrà a creare sarà di ‘attrito’ e di forzatura costituzionale (pericolosa sotto vari profili), in quanto si opporrà alla legalità costituzionale assicurata dalla Corte la legittimazione popolare derivante dal voto (nel caso il “pachetto RenziBoschi” fosse approvato da Popolo dopo l’intervento demolitorio della Corte che si pronuncerà sull’Italicum in autunno, ai primi di ottobre 2016). Se è vero che le democrazie costituzionali, se effettive, nascono e vivono sull’equilibrio fra legittimazione e legalità, c’è da essere preoccupati per quelle situazioni e quei leaders che accrescono lo squilibrio, tendendo a ‘valorizzare’ la legittimazione popolare a scapito della legalità costituzionale.