Bambine come lolite, siamo ancora capaci di avvertire i crampi allo stomaco?

Sweetie
Sweetie

Ce coricàvemo senza di': «Bonanotte!». Ce scetàvemo senza di': «Bongiorno!» Una parola bbona, me ricordo ca m' 'a dicette patemo... e quanno m' 'arricordo tremmo mo pe' tanno... Tenevo tridece anne. Me dicette: «Te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magna, 'o ssaje?».

Tremava la Filomena Marturano del grande De Filippo nel ricordare i modi del padre mentre la sollecitava a “darsi da fare”, tremiamo anche noi oggi se pensiamo che in ambienti dove il cibo non manca si spingono le figlie a mercificare il proprio corpo per soddisfare bisogni indotti dal consumismo, acquisire prestigio, fare carriera. In diverse direzioni. Il corpo parla, e il corpo di queste ragazzine lontane da forme di emancipazione femminile afferma un potere altro, forme di sudditanza indicibili, oltre che un inganno sulla crescita.

Impossibile dimenticare il film “Lolita”, impareggiabile cult di una cinematografia ormai scomparsa (1962, regia di Stanley Kubrick su omonimo romanzo di Vladimir Vladimirovič Nabokov), ma quello che era un soprannome o affettuoso nomignolo si è trasformato in una vera e propria patologia sociale, una sindrome come nel 2008 la definì Anna Oliverio Ferrari nel suo libro edito da Rizzoli (La sindrome Lolita. Perché i nostri figli crescono troppo in fretta).

 

E così le incontriamo tra i mercati anche a braccetto della loro mamma, incrociamo i loro sguardi accattivanti, incorniciati da rimmel e colorati ombretti. A scuola fanno a gara su chi porta la gonna più corta e la borsetta all’ultimo grido. Un modello che si sta affermando nella quotidianità senza che gli adulti battano ciglio.

Sempre più spesso, tanto da diventare la normalità, vengono utilizzate come modelle per richiamare clienti nell’acquisto di auto, come in Cina nel Chutian Auto Culture Festival in Wuhan o di riviste come Vogue Francia. Vanno a ruba i concorsi di bellezza e gli adulti, che ne dovrebbero tutelare la crescita, si compiacciono dei loro successi in concorsi di bellezza, dove si atteggiano a donne sensuali e affascinanti. I siti internet di bambine-modelle prolificano insieme a quelli di pedofili così come dimostrato da Sweetie, la bambina virtuale creata col computer come trappola anti-pedofili dalla Ong “Terre des Hommes” che nello scorso mese di novembre ha annunciato di essere riuscita ad identificare oltre mille 'predatori' in 65 diversi Paesi, denunciati all'Interpol.

 

Tanta diffusione può essere scambiata per normalità, mentre è cruda violenza.

 

Questa normalità dovrebbe provocarci crampi nello stomaco e richiamare l’attenzione sullo specchio della nostra realtà dove le immagini si compongono e sovrappongono in modo sempre più sbiadito senza che possiamo comprenderne il significato profondo. Dovremmo recuperare, invece, il senso dell’infanzia innocente e spensierata per una questione etica che pesa sul corpo di queste bambine, molto spesso malate di anoressia e/o soggette a diventare vittime della prostituzione e della pedofilia. Non dovremmo così scandalizzarci se scopriamo a Roma baby escort, una definizione raccapricciante per una cultura massificata e logorata da luoghi comuni come la nostra che provoca, nello stesso tempo, disagio esistenziale e gli stessi pregiudizi con cui si comprendono certi fenomeni.

Bambine ridotte a prostituirsi perché non sanno neppure cosa significhi avere cura del proprio corpo, perché il sesso mercificato ha preso il posto di forme di affettività e autoconsapevolezze idonee ad uno sviluppo armonico, perché uomini e donne adulti non sanno più comunicare il senso dell’esistenza oltre il denaro, il lusso, il possesso di beni materiali. Il corpo stesso si confonde tra tanti beni materiali come se non avesse più un’anima.

 

Francesca Rennis