Alla ricerca di frammenti identitari, fa capolino                        la Calabria alternativa

UN CANTASTORIE ALLA RICERCA DI IDENTITA'

Biagio Accardi porta “Viaggiolento” e “Cantu, cuntu…” al Teatro dell’Acquario sabato 9 novembre a partire dalle ore 15

 

di Francesca Rennis

 

“Pigliàti posto genti!! E’ arrivatu lu cantastorie… gira li chiazzi di li paisi pi vi cuntari fatti, cunti, leggendi“. E’ il biglietto da visita con cui si presenta Biagio Accardi durante il suo “Viaggiolento”  tra i paesi del Pollino. Una figura del nostro tempo, eppure fuori dal tempo. Una maschera contemporanea che muove i suoi passi per invitare a seguirlo. Ma qual è l’identità di un cantastorie? Cosa ci racconta in questi tempi dove la velocità impazza nelle nostre vite perché “chi arriva prima – dice un proverbio – meglio alloggia”. La velocità, effetto della tecnica che domina il nostro vivere quotidiano, la nostra stessa essenza, oltre al nostro modo di vivere. Quella velocità che è sinonimo di prestigio, come si nota nelle auto potenti, di uomini e donne in carriera, di arrivismo e competizione. E invece il cantastorie cammina, guarda la natura che lo accompagna nel suo viaggio con l’asina Cometina, respira l’incedere tra i luoghi, i profumi, i colori dei paesaggi tra Calabria e Basilicata. Lascia alle spalle l’idea del successo e del traguardo, perché la meta diventa lo stesso andare. Non è un personaggio neutrale il cantastorie del nostro tempo. L’ironia è un’arma tagliente e raffinata che adombra tra canzoni e parole. “Canta e cunta” Biagio Accardi le gesta di eroi che non si lasciano persuadere dalle illusioni del successo, dalla ritualità priva di senso, dalla tranquilla omologazione. Semmai ci fosse un’utopia da perseguire è verso un’azione di recupero delle tradizioni, gusti e sapori che appartengono alla nostra identità culturale. Con i piedi ben piantati alla solida terra si cammina in avanti, verso un orizzonte incerto che intanto ci garantisce la gioia del presente. E’ un viaggio estetico, nel senso più profondo del termine, perché coinvolge tutti i sensi e, nello stesso tempo, si carica della bellezza che trova sul suo sentiero. Respira di bello e con questo ci indica la strada del ritorno che, a ricordare le lezioni di Pier Paolo Pasolini, non è quella dello sviluppo, voluto da forme di potere tese alla “creazione, produzione intensa disperata smaniosa di beni superflui, mentre chi vuole il progresso – evidenziava - vuole la produzione di beni necessari" (intervista su Controcampo –Rai3 del 1974). L’andatura lenta restituisce una visione delle tradizioni, dell’esistente, della natura che non ha niente di nostalgico, per quanto invece è immersa a pieno titolo in quella visione di decrescita felice avanzata da Serge Latouche. Come il filo d’Arianna il viaggio lento s’inerpica tra quei “frammenti identitari” preesistenti all’omologazione di cui già parlava negli anni ’80 Alberto Magnaghi; pratiche e gestualità significanti che vivono nel lavoro di riappropriazione continua del territorio. Ma per la Calabria è ancora qualcosa in più, che coincide con quanto ricercato da quel pensiero meridiano teorizzato da intellettuali del calibro di Mario Alcaro. Il Sud, diceva il filosofo meridionalista, è “terra di riflessione capace d’ispirare modelli alternativi per il futuro”. Potenzialità che stentano ad esprimersi, che la politica ignora, sottovaluta e che addirittura ha tradotto in disfunzioni come il clientelismo e la mafia, ma che invece sono legate a valori emotivi, di solidarietà, a legami affettivi, rapporti solidi e profondi di fondamentale importanza nella società globalizzata. Liberismo e trionfo della tecnica, si sono rivelati un connubio distruttivo delle risorse ambientali e delle relazioni sociali. L’uomo, fruitore e consumatore di beni materiali, ha dimenticato un oltre dell’omologazione. Un oltre esplorato dal cantastorie le cui maschere “cantano e cuntano” altri modelli di vita. Si consuma quanto serve per vivere, senza sottostare a poteri. “Per me – dirà uno dei suoi personaggi immortalati nel libro – l’unico padrone a cui chiedere il permesso era il mare che ringraziavo”. Per questo streben Biagio Accardi ha ricevuto lo scorso agosto il Premio Manente rivolto a chi valorizza, divulgandola, la tradizione autoctona. Studioso di società tradizionali e contemporanea, insieme all’associazione CattivoTeatro, ha sviluppato un modo tutto giovane di mettere in rete iniziative di turismo sostenibile e produzione agricola originaria del territorio. Viaggiolento tra i borghi montani del Pollino, teatro, mostra fotografica, il libro “Cantu, cuntu… e mi ni fricu” (produzione MarascoComunicazione), recupero di sementi conservati dalla saggezza contadina a difesa della biodiversità con un incontro-dibattito “Sementi e autonomia contadina” e relativo banchetto per scambio di semi autonomi, la formazione di un gruppo di acquisto solidale (Gas). 

Esperienze che vengono portate sabato 9 novembre, a partire dalle ore 15, sulla scena del Teatro dell’Acquario con alcune performance tratte dallo spettacolo “Cantu, cuntu…”, mentre in anteprima a dicembre, ad Amantea, il nuovo spettacolo “Kairos”, quel tempo fuori dalle logiche consumistiche in cui si preannuncia, invece, il tempo propizio per agire.

 

 

Articolo pubblicato su Impressioni Meridiane, il blog di Gianfranco Donadio

 

 


ViaggioLento, un cantastorie tra i paesi del Pollino al recupero di valori controcorrente

Viaggiolento 2011
Viaggiolento 2011

Come può venire in mente di fare il cantastorie di professione e mettersi in cammino con un asino per i sentieri del Pollino? E’ una sfida, quella che quest’estate ha portato Biagio Accardi a intraprendere il suo “ViaggioLento”, un’iniziativa controcorrente perché brucia i tempi veloci della globalizzazione e il dinamismo tecnologico. Anacronistico o piuttosto il rigenerarsi di un antico che recupera il rapporto dell’uomo col proprio ambiente?

«Il viaggio mi ha portato – spiega il cantastorie - a circumnavigare il Pollino dell’Alto Tirreno Cosentino. Con il mio compagno di viaggio, l’asina Genoveffa, abbiamo attraversato i paesi posizionati alle falde di uno dei più caratteristici Parchi Nazionali della Calabria, esibendoci nei luoghi e nelle piazze che ci hanno accolto con calore e ascoltato storie narrate a suon di chitarra». Cantastorie, non per caso, ma volutamente, inseguendo valori che sembrano allontanati dalla frenetica vita di tutti i giorni. Lo fa con arte, quella abbracciata dall’associazione “Cattivoteatro” che pone al centro delle sue iniziative valori come la solidarietà, la tolleranza, la multiculturalità, il pacifismo, l’ecologia e le tradizioni al fine di indicare un punto di incontro culturale al di fuori di logiche consumistiche. E infatti Biagio spiega ancora le ragioni di questo viaggio “anomalo” sulle proprie gambe, dove il respiro della fatica determina i tempi dell’andare e non il contrario. «Un viaggio per sensibilizzare tutti noi a rallentare, tirare un freno a questo progresso che crea falso benessere. Contro il caro benzina – ironizza – visto che l’asino va ad erba! Rallentare in questo momento storico è necessario, basta osservare tutto quello che sta accadendo nel mondo: dalle miopi guerre dei potenti per accaparrarsi quante più risorse possibili, al disastro della centrale nucleare Fukuschima, emblema della corsa sfrenata al progresso. Mentre la terra ci comunica chiaramente che ha bisogno di prendere respiro, di tornare a ritmi più umani e naturali. ViaggioLento è un esempio, una predisposizione mentale, un altro modo di vedere le cose. Passo dopo passo, con la mia amica Genoveffa, calpestando terra e respirando polvere, realizzo sogni, faccio ciò che mi piace e mi sento vivo».

Camminare, porre uno dietro l’altro i piedi per misurare il terreno, sostando ad osservare i panorami offerti dalla natura, lasciandosi inondare dai colori e dai profumi della macchia mediterranea. Dalla ginestra all’erica, dal mirto all’olivo è un esplodere di tinte che con l’automobile o il treno diventano patacche sfumate messe lì per sbaglio. Lo dice Antonio Labbucci nel suo libro che Camminare è una rivoluzione (“Camminare, una rivoluzione”, Donzelli Editore, 2011). E’ un fare legato ad un pensare e ad uno stile di vita alternativo a quello dominante. Il camminare porta ad un contatto non mediato con sé, con gli altri, con la natura. Consente che le cose c’interroghino. Cogliamo la diversità e l’uguaglianza, poniamo l’orecchio all’ascolto attivando un senso che nella società globalizzata è stato sopraffatto violentemente dall’apparenza. Ascoltiamo, allargando i nostri spazi esperenziali. I luoghi s’afferrano per la vita che offrono nei vicoli, nelle piazze, negli sguardi della gente che vi abita senza sentire quella sollecitazione romboante alla modernizzazione. Un viaggio lento appartiene a quella prospettiva di pensiero che fa capolino come “pensiero meridiano”, forse un’apologia della marginalità come quando ci soffermiamo con una lente d’ingrandimento per cogliere meglio le differenze.

Come sfogliare un libro e non guardare solo la copertina, suggerisce Franco Cassano nel suo libro di qualche anno fa “Pensiero meridiano” (editori Laterza &Figli). «Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza, conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada. Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto esser felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno confondersi al cielo. E’ suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo» (p. 13, 2001). Un viaggio lento che nelle narrazioni della cultura popolare e contadina del cantastorie assume, pertanto, non solo il senso di un recupero dell’immaginazione, quanto quella di un’impostazione lontana dal disincanto contemporaneo perché recupera una frontiera nell’incontro con l’altro da sé che, invece, consumismo e utilitarismo vogliono gettare nella pattumiera dell’inservibile.

 

Francesca Rennis