“Non c’era una volta. Storie di ieri e di oggi”. Recensione al libro di Luigi Leporini

A quale tipologia appartiene il libro? Per me, è un diario di viaggio. Possiamo contorcerci fino all’inverosimile come ho visto fare più volte nel corso della presentazione di altri libri se sia microstoria per i riferimenti alla cronaca del tempo o appunti per fermare e invitare alla riflessione, un testo di morale o autobiografico, sociologico e antropologico, rivolto a riferire sui costumi di una comunità in un certo periodo. Sono tante le componenti che entrano in gioco in questo racconto che per me somiglia molto a quello dei nostri nonni intorno al braciere. E non a caso il braciere viene mitizzato in un capitolo. Il racconto, appunto, l’oralità in forma scritta che esprime il desiderio di non dimenticare. E’ una finzione, se vogliamo, ma piuttosto incisiva, efficace.

C’erano una volta, religiosità fatta carne, viva nei gesti delle persone, oggi si è fatto largo il relativismo etico e culturale e con questo ha preso piede quello che Umberto Galimberti nel suo ultimo libro, sulla scia di Nietzsche, ha definito l’ospite inquietante, il nichilismo che si avviluppa in spire comunicative allettanti tra le giovani generazioni.

Non c’era il consumismo, tutto veniva riciclato e utilizzato, con un rispetto verso gli altri, e le cose e le persone; quello che oggi chiamiamo ambiente era terreno da lavorare, case dove abitare, prodotti da mantenere a lungo.

Nostalgia? Secondo me più una domanda critica sulla strada che l’umanità e soprattutto quella locale sta percorrendo. Ma anche una presa di posizione; ci sono giudizi di valore, seppure riportati con garbo e con ironia.

- Qualche anno fa, quando cominciai l’attività giornalistica stavo attenta all’imparzialità a tutti i costi. Mi costringevo a riportare pensieri altrui con fedeltà dicendo tra me e me che il lettore avrebbe poi valutato e giudicato. Da qualche tempo mi sono ricreduta. Se al lettore non si dà una chiave di lettura è per lo più incapace di tirare le somme. E’ chiaro che mi riferisco al target di persone che normalmente leggono i quotidiani - .

2. Secondo me c’è sottilmente un’altra domanda critica sul valore dell’educazione nella formazione del carattere del giovane cittadino. E’ come se dicesse: “Manteniamo vive le nostre radici ma senza chiuderci in un asettico settarismo; la democrazia si nutre di dialogo continuo con il diverso e con il passato”.

Potremmo prendere a modello gli interrogativi a riguardo di Aristofane e Platone, se sia migliore la tradizione o il cambiamento, ed il discorso attualmente ci spingerebbe verso le posizioni inclusive, interculturali, di pensatori del calibro di Amirtya Sen e Marta Nussbaum; verso la conoscenza dei giochi di potere che emergono dalla letteratura nella formazione delle coscienze. O anche verso la persuasione mediatica attuata dalla pubblicità e da certi modi di fare politica. Poco ragionevole (nel senso di una ragione critica che sa discernere), a dire il vero, ma al contempo – sappiamo - molto redditizia. Ecco un’altra cosa che non c’era. C’erano forme di mediazione culturale funzionali sicuramente al sistema, e dalle quali si sono alimentate anche forme di illegalità culturale, la mafia, il familismo amorale colpevole, secondo chi ne ha coniato il termine nel ’58 (Edward Banfield in Le basi morali di una società arretrata) di mantenere il meridione nell’arretratezza economica e sociale. Ma questa è la pars destruens che non viene presa in considerazione, mentre vengono considerati alcuni aspetti costruttivi del vivere insieme, come il lavoro volontario, artigianale e appassionato, la comunicazione di valori attraverso gesti semplici, la volontà di costruire e dare.

La tensione verso l’intercultura e verso l’educazione di cui parlavo poc’anzi si legge in diversi contributi, ma in particolare in quello intitolato “L’Europa non c’era”. La tensione verso l’interculturalità allora era avvertita probabilmente solo dai docenti di lingua straniera. In questi termini possiamo pensare che il preside Leporini sia stato un antesignano, un pioniere del dialogo interculturale.

Dal passato con Socrate abbiamo l’insegnamento “Innovare pur conservando” e sappiamo gli costò la vita, oggi non possiamo più pensare di sviluppare le politiche dell’identità in contrapposizione all’essere cittadino del mondo. Penso che il testo vada in questa direzione. Da qui possiamo chiederci, seguendo il libro di Leporini, quanto della cultura, usi e costumi e valori vissuti da Cetraro possa essere riconvogliato nella formazione del cittadino del mondo, diverso da allora, globalizzato, con nuovi problemi economici e sociali, con nuove povertà?

 

Francesca Rennis