L'aereo di carta plana sulla lezione di storia

Un foglio di carta sul banco prende le ali e per il ragazzo, che pure segue dal primo banco la lezione di storia, assume un senso perché librata nei cieli alti della fantasia. La guerra dei Sette anni, l’apogeo e la disfatta del Re Sole, la sparizione della Polonia dalla cartina geografica del ‘700 perdono ogni validità. Davanti agli occhi, impavida, si erge una figura nuova, seducente, densa di tutti quei colori che lo fanno apparire semplicemente bianco. Di un magnetismo spavaldo, il ragazzo non può resistervi; è ormai salito su quel fantomatico velivolo da lui stesso costruito.

Stanchezza, trasgressione, rifiuto di una lezione banale. Fatto sta che lo studente esprime in quel modo il proprio disagio in classe. Parla con il linguaggio di un bisogno latente.

La filosofia dell’aeroplanino ovvero “A che serve studiare?”. Un linguaggio non verbale di pensieri e incomprensibili monologhi si accompagnano a quel volo immaginario mantenuto nella presa della mano. A quasi diciotto anni non può che essere espressione di una adolescenza che non sa che direzione prendere. Un modo leggero di significare il tempo, scandirlo esponendo in altro limiti e sospensioni del pensiero. Ci vorrebbe poco per far librare in volo quell’origamo spensierato, al di là di recinti istituzionali, mura che trattengono esuberanze vitali, impedendo che quest’ultime si trasformino in creatività e atteggiamenti critico-riflessivi funzionali alla formazione dell’uomo e del cittadino. Il sistema welfare è in crisi.

Sottoccupazione, disoccupazione, ammortizzatori sociali sempre più deboli e scarsi per contrastare una congiuntura economica negativa e un processo di globalizzazione dai contorni imperanti. A livello di singolo, incapace di riconoscersi in una comunità non più solidale, le tensioni implodono in comportamenti che sembrerebbero inspiegabili. La cronaca ce ne segnala tutti i giorni e ben più pericolosi per l’incolumità delle persone.

L’impegno all’apprendimento diminuisce e diventa sempre più discontinuo in conseguenza del fatto che  intenzionalità e motivazioni allo studio sembrano diventati il vero drop out dell’istruzione pubblica. Sui banchi di scuola sparisce la domanda di ricerca personale e collettiva al sapere, si studia per il voto, mentre in modo inversamente proporzionale aumenta e si fa sempre più profonda la domanda sul volto degli studenti: “Prof., a che serve studiare?”.

 

Francesca Rennis