Ius sanguinis. Dal diritto di sangue all'utopia della cittadinanza cosmopolita. Una lettura del libro di Paola Bottero

Ius sanguinis fa pensare. E' un concetto radicato nella latinità, in perenne divenire. Ancorato al senso di appartenenza diventa per il libro di Paola Bottero occasione per leggere e rileggere, tra norme statiche locali e nuovi bisogni legati ai fenomeni della globalizzazione, le diverse forme in cui si esprime nel quotidiano con una domanda che circola sotterranea tra le pagine. Si può cambiare? Ius sanguinis in quattro capitoli per esprimere non una semplice equazione o isomorfismo tra mafia e Calabria, ma una congruenza con i significati legati al concetto di Mediterraneità. Possiamo farlo recuperando il lavoro teoretico di Hans George Gadamer che aveva posto l'idea di Mediterraneo a fondamento di quella europea. Così appaiono marginali, rispetto a questo nuovo guadagno concettuale, le storie raccontate nei primi tre capitoli. Ius sanguinis appare in tutta la sua problematicità nelle ultime pagine del libro, in un'immagine, che stravolge il nostro vivere quotidiano, data dalle carrette della speranza. L'emergenza Lampedusa del dicembre 2008 con i rimpatri immediati disposti dal governo italiano rappresentano una lacerazione nelle capacità di integrazione nazionali insieme ai cosiddetti centri di prima accoglienza ridotti a veri e propri lager umani. In quest'angolo di Mediterraneo ci domandiamo dov'è l'Umanità.

 

Ius sanguinis, il libro, ci proietta così in una dimensione di cittadinanza. E, proprio per quella congruenza con la mediterraneità, possiamo definire ius sanguinis utopia della cittadinanza cosmopolita. Intanto, l'idea di Mediterraneo a quali concetti apre? Possiamo definirlo, aiutandoci con quanto riferito in un suo testo dedicato a Gadamer, da Lucio Saviani. Ce lo descrive come un mondo intermedio, in continua transizione, fragile e nello stesso tempo liquido, caratterizzato da una feconda porosità da muovere verso contaminazioni inaspettate. E' un non luogo, ovvero luogo d'utopia dove i vari "ismi" (assolutismo, integralismo...) perdono la loro consistenza. Richiamando il senso d'identità, l'incontro, il dialogo, la tolleranza, l'idea di "altro", acquista una dimensione poliedrica. Così, si amplia, si trasforma, si ridefinisce e all'impatto con una situazione scabrosa, di scandalo, qual è quella dei profughi, dirige il suo sguardo, il nostro sguardo, verso nuove forme di interrelazione fondate su nuovi modelli di ospitalità, appartenenza, solidarietà. Dimensioni che pure ci sono in Calabria, nascoste in nicchie dove a prevalere è il femminile. Queste non sono riuscite ad avere una giusta collocazione nelle scelte istituzionali, dove ad avere la meglio sono state altre relazioni, di subalternità, arroganza, familismo amorale, maschilismo, clientelismo. Ius sanguinis a contatto con la realtà dei profughi, la sofferenza del mondo globalizzato, si spezza elargendo nuove pulsioni. Si tratta, in definitiva, di ripensare un altro concetto di diritto alla base dell'ordinamento giudiziario, un'altra politica della città, all'interno di una rete di solidarietà che sia modello di appartenenza e ospitalità. Da diritto di sangue e diritto di potere a diritto di nuova cittadinanza.

 

Certo, il libro ci pone, in questo frangente, di fronte ad un problema atavico quanto realistico: il reificarsi del negativo in Calabria, il ripetersi di forme gattopardiane attraverso abitudini, tradizioni, valori capaci di coniugarsi solo con favoritismo, clientelismo, familismo amorale, rapporti asimmetrici tra il genere maschile e quello femminile. Eppure, come accennato, proprio per quella capacità porosa intrisa nell'idea di Mediterraneo, il negativo è attraversato da strade, vincoli, ponti di discontinuità, i riferimenti valoriali dell'universo femminile. Il Mediterraneo, di cui ha parlato Gadamer, passa anche da qui, si scontra e si staglia contro macigni culturali che apparentemente non si lasciano sgretolare, perché ricoperti da una resistente patina di omertà e violenza. Potremmo dire con Mario La Cava "Io non dico "laggiù" parlando della Calabria, sempre parlo per conoscenza diretta, che in tal caso significa sofferenza diretta".

 

Le donne di Ius sanguinis, il libro. Il genere da cui si snodano valori altri, quelli delle donne forti delle generazioni passate, tese alla cura delle proprie famiglie in mancanza degli uomini spediti in guerra o ad emigrare. Le ritroviamo nella determinazione di Roberta, sorella di Gianluca Congiusta, barbaramente ucciso dalla mafia; nelle scelte e nel modo di essere emancipato di Angela, madre di Alice, l'adolescente ridotta in fin di vita dal suo fidanzatino per aver deciso di lasciarlo; nelle parole di Lisa, l'efficiente segretaria del consigliere regionale di turno, alla quale l'autrice fa svelare tutta la problematicità di ius sanguinis; nell'attività di découpage di Federica (Federica Monteleone), tesa al recupero e alla cura di oggetti che il consumismo riduce invece a banale spazzatura.

 

La problematicità del concetto ius sanguinis ha forti ripercussioni a livello antropologico e conoscitivo. Da quelle pieghe di dolore prodotte dalla complessità dell'epoca contemporanea si vede sbucare una nuova creatura umana. Secondo me, vi ritroviamo quella dimensione ermeneutica, indefinita, capita da Saviani come "sulla soglia, ai margini" che mette in discussione il fondamento stesso del concetto. Con Nietzesche (La gaia scienza) non possiamo fare altro che domandarci "Come potremmo noi, dopo un simile spettacolo e con una tale voracità di conoscere e di sapere, accontentarci dell'uomo di oggi?".

Da forme di potere corrotte, tese al profitto e al guadagno facile, capaci di ogni violenza e sopruso pur di mantenere il predominio, a una legge dell'umanità che pone al centro dell'agire l'uomo, la persona umana. I drammatici fatti raccontati nel libro evidenziano come, al posto della cura, siano prevalenti l'utilizzo, l'uso privato, abitudini e norme socio-politiche funzionali al sistema delle relazioni tra mafia e politica in Calabria. Il pesante cappotto di una calabresità che non riusciamo a scuoterci dalle spalle soprattutto in relazione alle nuove sfide lanciate dalla globalizzazione.

"Ius sanguinis" può essere un luogo non-luogo, insomma, uno di quei nodi (del fondamento del pensiero occidentale) da sciogliere per recuperare il senso della pluralità, luogo ideale, riprendendo ancora le parole di Saviani, "di s-fondamento da cui è possibile gettare un ponte, da cui è possibile dialogare, comunicare".

 

Francesca Rennis