Confine e spaesamento? L'identità etnico-sociale dei Brettii nel libro di Fabrizio Mollo "Ai confini della Brettia"

Il significato semantico del termine “confine” abbraccia varie connotazioni che, nella loro diversità, rimandano ad una apertura e ad una possibilità oltre il prevedibile.
“Confine” vuol dire, infatti, non solo ostacolo o limite inderogabile, quanto piuttosto, nell’accezione moderna offerta da Kant, ciò che può diventare conoscibile perché prossimo al conosciuto.

 

Il senso del “confine”

 

Da una connotazione prevalentemente geografica, propria dell’orizzonte greco, il concetto è giunto ad assumere una valenza di orientamento che, nel caso del testo di Fabrizio Mollo «Ai confini della Brettia. Insediamenti e materiali nel territorio tra Belvedere Marittimo e Fuscaldo nel quadro del popolamento italico della fascia costiera tirrenica della provincia di Cosenza» (Rubbettino, pp. 520, € 32,00), sembra abbastanza rilevante ai fini di una lettura non strettamente storiografica. Il sottotitolo del volume, infatti, delimita e circoscrive la zona dei ritrovamenti dai quali Mollo prende l’avvio, usando uno stile letterario lineare e accattivante nella forma quanto analitico e rigoroso nei contenuti, per spingersi sul fertile terreno dell’interpretazione. Oltre il confine, dunque, della mera osservazione empirica, del contesto storico di riferimento, del pregiudizio storiografico ellenocentrico, per lanciare più di una provocazione significativa all’uomo contemporaneo. La prima proviene dalla metodologia utilizzata, che affianca alla catalogazione empirica dei reperti un elemento creativo, originale, dato dall’esperienza maturata in un decennio di scavi, molti dei quali sul Tirreno cosentino, e da una capacità intuitiva non occasionale. Sono state utilizzate alcune categorie della ricerca come quella del “frontier history”, utile nell’esaminare gli aspetti relazionali ed economici della zona, e il cosiddetto “Gis” (“Geographic Information System”) valido per indicare le relazioni spaziali. La tesi portata avanti è quella di stabilire un rapporto tra gli aspetti quantitativi offerti dai rilevamenti e gli aspetti qualitativi per la risoluzione di problemi quali la definizione delle forme di occupazione dello spazio e i modelli di insediamento. Un merito dell’indagine consiste nella capacità di individuazione delle problematiche lasciate aperte dai periodi “oscuri”, di cui non sono state rinvenute tracce attribuibili alle popolazioni indigene, e dalle cause che hanno provocato gli insediamenti in una zona impervia dal punto di vista abitativo.

 

Un’indagine sui collegamenti storici al di là della pura settorialità

Un altro pregio è costituito dal recupero di un filone non ellenocentrico – tendenza inaugurata a partire dal Dopoguerra in una forma molto blanda – che ha permesso di evidenziare i problemi di ricostruzione storica offuscati da quel tipo di prospettiva, interessata ad approfondire il fenomeno della colonizzazione greca a scapito di una conoscenza degli aspetti relazionali ed economici che intercorrevano con gli indigeni. Ovvero, il lavoro di Mollo non si ferma ad una indagine settoriale limitata allo scavo e alla verticalità dello stesso, ma cerca, trovandoli, collegamenti storici in senso sia sincronico che diacronico. Ne emerge, quindi, una ricostruzione comparata alle aree limitrofe di Temesa a sud e di Lao-Blanda a nord, che lascia spazio ad ipotesi sulla fine degli insediamenti.
L’originalità del testo, rintracciabile anche nella catalogazione di tipo funzionale dei reperti, scaturisce pure ad altri livelli. Un primo livello può essere quello metascientifico nel rapporto tra istanze di tipo tecnico-empirico – utili al reperimento dei dati e alla conservazione stratigrafica degli scavi – e istanze di tipo interpretativo, che nell’insieme hanno prodotto come risultato quello di restituirci i modelli di vita dell’uomo indigeno nell’Età ellenistica compresa tra i secoli IV e III a.C. Da questi modelli è possibile dedurre, approfondendo ulteriormente le ricerche, una psicologia e una mentalità diversi dalla romanità e dalla Magna Grecia, che riuscirono, in diverse tappe, a svolgere un ruolo culturale dominante. La diversità, evidenziata nel testo con i possibili drammi legati alla fine degli insediamenti, potrebbe essere inserita in un quadro interculturale da confrontare con la difficile situazione contemporanea. L’attualità del testo si riscontra soprattutto nell’attenzione verso una minoranza locale, il cui destino sembra legato in modo irreversibile a civiltà che, in paragone ai processi legati al liberismo economico, potremmo chiamare “globalizzanti”. Nel libro, infatti, ci sono molti riferimenti storiografici e bibliografici utili a ipotizzare l’identità dei Brettii, il tipo di contesto abitativo non urbano, la struttura sociopolitica che li caratterizzava come popolo. La conoscenza delle dinamiche di individualizzazione e socializzazione sottese alla struttura sociale potrebbe condurre, in senso pedagogico, ad elementi di consapevolezza relativi al nostro presente.

Italici e uomini moderni: lontani eppur vicini

 

Sollecitati dalla lettura del testo di Franco La Cecla, «Perdersi. L’uomo senza ambiente», con «Prefazione» di Gianni Vattimo (Laterza, pp. 184, € 7,23), possiamo cogliere un’ulteriore provocazione in senso antropologico nella sfida ad “abitare” un sistema collinare pressoché privo di aree pianeggianti e di facili approdi.
Cosa possono avere in comune i primi italici, alla ricerca di un’area dove fissare la propria dimora, e l’uomo moderno, perso nella molteplicità di riferimenti ambigui o addirittura contraddittori? Entrambi vivono la comune esperienza dello “spaesamento”, quella condizione di smarrimento che rende l’uomo “forestiero” a se stesso e sempre alla ricerca di punti di riferimento stabili. La mancanza di orientamento come smarrimento nella foresta ha in sé, comunque, l’aspetto positivo del ricercare, con tutti i problemi metodologici ad esso connessi da affrontare puntando la bussola verso il locale, dopo averne definito prioritariamente i confini. Un contributo in questa direzione, che ci permette di ribadire l’attualità dell’archeologia presentata da Mollo, viene offerto da un saggio di Alessandro Dal Lago e Sandro Mezzadra, «I confini impensati dell’Europa» (in Heidrun Friese - Antonio Negri - Peter Wagner (a cura di), «Europa politica. Ragioni di una necessità», Roma, Manifestolibri, 2002, pp. 288, € 16,50). Gli autori in questo testo caratterizzano il concetto di confine entro il quadro europeo, dotato di una mobilità intrinseca ben diversa da quella del periodo arcaico esaminato da Mollo, riferita alle persone, alle merci, al lavoro. Sono le merci, infatti, a circolare liberamente, mentre crescono i confini armati che impediscono la circolazione delle persone provenienti da territori non europei. La sicurezza entro confini ben delimitati è sempre più armata ed è una difesa che ingabbia l’uomo europeo non solo in una divisione egemonica del lavoro, quanto in una visione antropologica che, escludendo l’altro, impoverisce la cultura occidentale relegandola ai ranghi di una mera fattualità tecnicistica. Sospinto dalla tensione verso nuovi traguardi con la consapevolezza di un lavoro mai conclusivo, il discorso scientifico insito ne «Ai confini della Brettia» ha dato modo di superare i limiti della disciplina per aprire così ad un confronto che ha come obiettivo quello di recuperare una riflessione, purtroppo appena accennata, sull’“oriente” della ragione contemporanea.

 

Francesca Rennis