La Shoah nei libri di testo per le Scuole superiori di secondo grado: un'analisi critica

Un paragrafo della mia tesi nel Master Internazionale di II livello su "Didattica della Shoah

Nonostante i giovani, con l’avvento di Internet, abbiano accesso ad innumerevoli fonti conoscitive e multimediali che assumono anche un segno negativo quando si tratta di approfondire, contestualizzare e verificarne l’autenticità, il libro di testo rappresenta ancora un utile strumento di informazione e di confronto, che tuttavia, per i limiti che presenta, va integrato. Molti testi, seppure siano correlati da spazi informatici, essendo dotati anche di Cd o di appendici ricavabili dal sito della casa editrice[1], amplificano la conoscenza, senza riuscire a determinarne il senso etico, formativo. Mi è sembrato, pertanto, significativo analizzare criticamente alcuni testi utilizzati nel triennio delle scuole medie superiori, sulla base di una scheda simile a quella utilizzata nel 2004 da Mariarosa Davi e Patrizia Guantieri[2] (Allegato 1). I manuali presi in esame sono:

 

A.Desideri-G. Codovini, Storia e storiografia. Per la scuola del terzo millennio, 3 vol., G. D’Anna Casa Ed., Firenze 2015

Aa.Vv., Noi nel tempo. Il Novecento e oggi, vol. 3A, Zanichelli, Bologna 2015

A.  De Bernardi – S. Guerracino, Epoche, vol. 3, Pearson, Milano-Torino 2012

Aa.Vv., Historica, vol. 3, Gruppo ed. Il Capitello, Torino 2012

Aa.,Vv., Storia e identità. Il Novecento e oggi, vol. 3, Einaudi, Mondadori, Milano 2015

Aa.,Vv., La città dell’uomo. Il novecento, vol. 3, Paravia B. Mondadori, Milano 2003

Aa.Vv., Studiare storia, 3 vol., Paravia B. Mondadori, Bologna 2004

A.    Desideri – M. Themelly, Storia e storiografia, 3 vol. 1- 2 tomo, G. D’Anna Casa Ed., Firenze 1997

F. M. Feltri, Tempi. Dal Novecento ad oggi, Sei, Torino 2015

A. M. Banti, Linee della storia, vol. 3, Ed. Laterza, Bari-Roma 2015  

 

 

L’età di pubblicazione dei testi dà la possibilità di fare una comparazione anche diacronica sullo sviluppo dell’argomento “Shoah ed ebraismo in Europa”.

Prendendo in esame i testi pubblicati dalla G. D’Anna nel 1997 e nel 2015, possiamo vedere che ad un aspetto grafico curato con l’inserimento di immagini e colori, e ad un ampliamento di contenuti e temi sulla Shoah che prendono in considerazione il dibattito sull’unicità,  non ha fatto, comunque, seguito un’impostazione di fondo diversa, in quanto l’argomento rimane collegato, come appendice, alle dinamiche della Seconda guerra mondiale e, nel secondo, in particolare, il tema sulla leggi razziste viene affrontato in un paragrafo intitolato Il razzismo e l’antisemitismo razzista, per introdurre esclusivamente il Manifesto degli scienziati razzisti. Una relazione di subordinazione dal conflitto mondiale viene mantenuta anche dagli altri testi, eccetto quello pubblicato da Einaudi, il quale dedica la settima Unità a La Seconda guerra mondiale e il genocidio degli ebrei, con diversi paragrafi intitolati ai temi della Shoah. Inoltre, dedicando, in altre due Unità, paragrafi al razzismo fascista e nazista, affronta il luogo comune[3] dell’origine delle “leggi razziali” ribadendo la responsabilità del regime fascista nella costruzione di una “coscienza razzista” in Italia e negandone l’eccezionalità seppure ritenendo il fatto come imitazione delle leggi di Norimberga. In particolare, viene proposta la lettura di un brano di Paola Di Cori su un fatto definito «come la pagina più vergognosa del ventennio fascista, l’emanazione cioè delle leggi razziali del 1938» evidenziando come la studiosa neghi che queste abbiano «costituito un fatto eccezionale, determinato dalla volontà, più o meno consapevole, di imitare o emulare l’alleato tedesco. Tale iniziativa infatti si inseriva, da una parte, in una lunga, sia pure latente, corrente di antisemitismo, alimentato dalla stessa Chiesa cattolica, mentre dall’altra, rifletteva l’impostazione antiegualitaria (ostile in particolare al riconoscimento di diritti universali) che animò fin dall’inizio il fascismo e che trovò fra l’altro espressione nelle modalità apertamente razziste con cui venne condotta la guerra di Etiopia» (pp. 213-214). Attenzioni concettuali che, tuttavia, non trovano riscontro in alcune scelte terminologiche. Il paragrafo intitolato La Guerra d’Etiopia e le leggi razziali non offre infatti la possibilità di cogliere la differenza tra “razziale” e “razzista” e ripete l’inesattezza anche nell’Unità 6, dove per parlare delle leggi di Norimberga intitola il terzo capitolo Le leggi razziali.  

Per quanto riguarda Paravia B. Mondadori, i due testi a ridosso del 2000 (La città dell’uomo. Il novecento e Studiare storia), che si distanziano solo di un anno, pur ripetendo nel titolo dei paragrafi lo stesso errore di usare l’aggettivo razziale invece che razzista, mostrano un cambiamento sostanziale: in quello del 2003, infatti, lo spazio dedicato all’argomento e l’ampiezza degli apparati utilizzati è, rispetto al primo, rilevante. In entrambi ci sono testi tratti da Mein kampf, ma il primo sviluppa la conoscenza  narrativa e argomentativa sul sistema concentrazionario e sulle modalità con cui si è attuata la “soluzione finale”, con una maggiore attenzione alla disposizione cronologica degli argomenti; mentre il secondo, pur predisponendo un capitolo sull’argomento, L’Europa in guerra: dominio nazista, l’Olocausto, la Resistenza (Cap. 18), e pur separando i contributi storici da quelli storiografici, li raccoglie in sole quattro pagine. Entrambi sviluppano gli stessi argomenti sulle leggi razziste del 1938, ma quello del 2004 svolge la tematica in modo più argomentato e con immagini, mantenendo l’interpretazione dell’italiano che non s’identifica con il fascismo e con le leggi razziste «accolte dall’opinione pubblica con perplessità e indifferenza» (p. 152). In  quello del 2003 vengono presentati più argomenti sullo sterminio nazista, ma viene ulteriormente ridotta la sintesi sulla leggi razziste, che riporta parte del testo ripreso nell’altro manuale.

Il testo pubblicato dalla Zanichelli presenta il sionismo in una scheda allegata al capitolo   Asia, Africa e America latina tra le due guerre, evitando dunque il luogo comune di far dipendere il movimento sionista dalla Shoah, alla quale dedica diversi paragrafi all’interno dell’unità 12, sezione 4, L’età dei totalitarismi, per cui l’impostazione della sezione non ne fa risaltare l’unicità. Nell’unità 14 inserisce approfondimenti sulla rivolta del ghetto di Varsavia e sui luoghi della memoria con foto didascaliche. Pur accennando alla legislazione nazista, non nomina quella fascista ricadendo nel luogo comune che la Shoah sia stata la conseguenza della politica nazista e che l’Italia non abbia avuto responsabilità.

Il testo Historica, edito da Il capitello nel 2012, rimanda ad alcuni contributi online e presenta una nutrita sezione di approfondimenti con documenti e riflessioni storiografiche, ponendo l’attenzione sull’uso del termine shoah, sull’unicità dello sterminio nazista e sulle conseguenti riflessioni religiose.  Nel considerare le leggi razziste fasciste, le chiama “leggi razziali antisemite” e spiega che «l’antisemitismo del regime fu condizionato dall’analoga legislazione già introdotta dal nazismo in Germania» pur considerandone per certi aspetti la maggiore rigidità.

Epoche dedica parte del capitolo 9 ad alcuni elementi portanti dello sterminio: il nuovo ordine, il razzismo, la “soluzione finale”. Per quanto riguarda le leggi razziste in Italia, dedica un paragrafo a Il razzismo e le leggi antisemite, dove evidenzia che «Così, anche per competere con il nazismo, che ambiva a sostituire il regime di Mussolini nel ruolo di stato guida del fascismo internazionale, il fascismo italiano volle imboccare quella stessa strada, cominciando un’opera capillare di denigrazione degli ebrei italiani e di esaltazione di una fantomatica “razza italica”» (p. 204). Nella pagina a fianco, il documento “Il Manifesto degli scienziati razzisti”.

Mentre nel testo Storia e storiografia, edito da G. D’Anna nel 1997 non c’è traccia dell’antisemitismo italiano, né delle leggi razziste del 1938, reificando il pregiudizio per cui lo sterminio ha riguardato solo la Germania nazista, quello del 2015 presenta Il razzismo e l’antisemitismo fascista, utilizzando il Manifesto degli scienziati razzisti, e accompagnandolo con una riflessione storiografica, senza però un’adeguata contestualizzazione.

Per quanto riguarda la seconda fase della persecuzione ebraica in Italia, quella dopo l’8 settembre del 1943, non se ne trova traccia in nessuno dei manuali esaminati, così come non c’è traccia del destino dei soldati italiani deportati nei campi di concentramento tedeschi e polacchi in seguito all’operazione Achse, non più riconosciuti come “prigionieri di guerra” ma come Internati Militari Italiani (Imi), con la perdita di tutti i diritti sanciti dai trattati internazionali, costretti ad optare, in un clima di angherie e vessazioni continue, tra il reclutamento nel progetto di “mobilitazione totale alla guerra” di fattura fascio-nazista con l’adesione all’esercito della Repubblica di Salò, e la scelta di “lavoro coatto” per industriali e agrari tedeschi[4]. Ritengo che l’assenza di tali argomenti non sia né casuale, né neutra, ma che si tratti di una vera e propria omissione. Ugualmente viene omessa l’esistenza di un sistema di campi di concentramento e internamento fascisti [5]. Si tratta di scelte editoriali che rispondono, infatti, a quella stessa “narrazione egemonica”, desunta dall’opera di De Felice, che condizionò la memoria pubblica nazionale sin dall’Armistizio di Cassibile, e il revisionismo storico e politico degli anni ’80[6]. Scelte che, pertanto, abdicano ad obiettivi storico-didattici per adeguarsi, invece, ad orientamenti di politica della memoria tutt’altro che obiettivi.

I testi presi in esame, pubblicati nel 2012 e nel 2015, si presentano con orientamenti diversi: funzionalista l’impostazione di Epoche (2012), Storia e identità. Il Novecento e oggi (2015) e Linee della storia (2015); intenzionalista Noi nel tempo. Il Novecento (2015) e Historica (2012); mentre Storia e storiografia. Per la scuola del terzo millennio presenta i vari temi collegati alla Shoah in modo frammentario, lasciando evidentemente all’insegnante la scelta di come utilizzarli.

Delle persecuzioni subite da altre etnie e altri gruppi minoritari condotti nei campi di sterminio, in questi testi, rimangono solo accenni, mentre i collegamenti ideologici tra antisemitismo e antibolscevismo sono presenti solo in un testo del 2003 (La città dell’uomo, Paravia B. Mondadori). Il testo de Laterza, Linee della storia, pur essendo di recente pubblicazione (2015) ha ridotto l’argomento ad un paragrafo interno al capitolo 11 dedicato alla seconda guerra mondiale, occupando quattro pagine integrate da un documento da Mein kampf e uno di storiografia, seppure nel testo dell’anno precedente fossero stati affrontati in diversi capitoli argomenti riguardanti il razzismo e l’antisemitismo (es. l’Illuminismo e il razzismo, le teorie razziste e il razzismo militante, il caso Dreyfus, i Protocolli dei saggi anziani di Sion), nonché la nascita del sionismo, facendo intravedere un interesse particolare per l’acquisizione di competenze di cittadinanza. Promessa non mantenuta nel terzo volume, dove, tra l’altro, recupera, sulla scia degli studi di Hanna Arendt, il nesso totalitarismo-campi di sterminio come esito di “violenza permanente”, lasciando cadere nel silenzio problematiche storiografiche legate alle responsabilità italiane sullo sterminio e le fasi delle deportazioni successive all’armistizio di Cassibile.

Se nel manuale del 1997, edito dalla G. D’Anna, è presente un riferimento al razzismo contemporaneo, questo non viene preso in considerazione in nessuno degli altri manuali, così come nessuno di essi dedica una voce di approfondimento agli altri genocidi per puntualizzarne la differenziazione concettuale.

Sulle tesi revisioniste di E. Nolte pone l’accento il manuale del 1997 per opporvi un testo di J. Habermas in cui il filosofo e sociologo tedesco rifiuta il criterio di comparazione con le atrocità imputabili a Stalin nei gulag, come invece asseriva Nolte, relativizzando le atrocità commesse nei lager nazisti. Le tesi negazioniste vengono prese in considerazione dal testo Historica  che le esamina opponendovi chiaramente, senza ambiguità di sorta, le prove storiche di quanto accaduto ad Auschwitz.  

Approfondita e diffusa la trattazione su ebraismo e sterminio nel testo della Laterza del 2015, Tempi. Dal Novecento ad oggi, sia per i riferimenti in quattro capitoli diversi (U6, U7, U8 e U11) sia per l’ampiezza della stessa U11, dedicata completamente in quattro paragrafi, allo “sterminio degli ebrei”, con testimonianze e documenti scritti e visivi, ma l’approfondimento rimane relativo agli aspetti ideologici, alla caratteristiche dei lager, alle modalità dello sterminio e all’unicità dello sterminio stesso, volendo puntualizzare il punto di vista che accoglie, mediandole, le tesi intenzionaliste con quelle funzionaliste. Questo testo, lascia però fuori dalla narrazione storica la persecuzione degli ebrei in Italia dopo l’8 settembre 1943, non cita il fenomeno del negazionismo e, nel considerare il lavoro coatto dei prigionieri di guerra, non accenna neppure alla dimensione giuridica anomala in cui si vennero a trovare come Imi. Per il modo originale e soddisfacente in cui, nonostante questa parzialità, è stato trattato il tema, sarebbe stato congruo e alquanto opportuno un’integrazione con l’attualità e il confronto con i temi legati ai fenomeni della globalizzazione e all’integralismo islamico.

 

Considerando quanto scrivevano nel 2004 Davi e Gualtieri, possiamo avanzare l’ipotesi che ci sia la tendenza a riservare spazi importanti alla trattazione della Shoah, seppure ancora non sempre posta in relazione al contesto ideologico e antisemita del tempo; una trattazione che rimane come conchiusa e limitata al passato e che non riesce ad assurgere a domande rilevanti nella riflessione etica e nell’impostazione formativa delle coscienze, come se anche oggi, proprio come emerse nella relazione del 2004 sui manuali, la questione riguardasse solo il popolo ebraico.

D’altra parte, non posso non convenire con gli esiti della ricerca effettuata da Francesca Costantini su otto manuali, avvenuta all’interno del seminario per docenti Insegnare oggi la Shoah: manuali di storia e percorsi didattici, tenuto al Memoriale della Shoah di Milano il 28 novembre 2013[7]. Nel punto in cui la studiosa analizza il tipo di relazione tra le leggi di Norimberga e le “leggi razziali” fasciste, rileva infatti che dalla lettura dei manuali

«emerge una narrazione che non coglie la gravità e l’importanza sostanziale che queste vicende hanno avuto e hanno ancora per la storia italiana. […] Nei manuali, inoltre, non si tiene conto del fatto che queste leggi rappresentarono una grave frattura nel percorso costituzionale iniziato con il Risorgimento italiano, al quale gli ebrei avevano partecipato a pieno titolo; così come i lutti di ebrei morti nella Prima guerra mondiale dimostravano che il loro contributo di sangue era stato analogo a quello di tutti gli altri cittadini italiani. La legislazione antiebraica introdotta nel 1938, pur avendo molti aspetti simili alla linea razzistica attuata nel 1936-37 contro le popolazioni delle colonie africane, se ne differenzia proprio per il fatto che ha rappresentato una rottura del patto di cittadinanza stretto nel corso del Risorgimento, quando gli ebrei italiani avevano ottenuto la piena emancipazione giuridica»[8].

 

L’emanazione delle leggi razziste e la ricezione sociale costituiscono un nodo fondamentale nello studio delle responsabilità che determinarono lo sterminio, così come il ruolo che assunse la Chiesa. Aspetti che, nella problematicità delle varie interpretazioni, vengono di solito tralasciati anziché essere chiariti con l’apporto di testimonianze che potrebbero porre in rilievo opportunismi politici ed economici, indifferenza e acquiescenza contro lo sconforto  e lo shock che le leggi determinarono nella popolazione ebraica a cominciare dai “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” del 5 settembre 1938.

In definitiva, i libri di testo tendono a semplificare in modo eccessivo i temi legati alla Shoah, soprattutto dal punto di vista storiografico, laddove il più delle volte manca un confronto critico da tesi diverse. In alcuni casi i manuali potrebbero essere sufficienti per realizzare due obiettivi minimi come la raccolta delle informazioni di base e la prima storicizzazione dell’evento, ma molte concettualizzazioni, come quella di “nuovo ordine”, “spazio vitale”, “soluzione finale”, “pogrom” vengono date per scontate e si registra l’assenza di mappe concettuali che aiutino lo studente ad orientarsi.

Le immagini, quando ci sono, sembrano che rispondano più ad esigenze di ordine estetico o piuttosto emozionale, piuttosto che essere organizzate su basi storico-documentarie.  

 

L’impressione che se ne deduce, in quasi tutti i testi (non certo per Tempi della Sei), è quella di una frammentarietà di fatti, scissi, per lo più, dalla loro matrice ideologica come se Auschwitz fosse stata un’eccezionale momento di sbandamento della nostra civiltà. Manca, in ogni caso, l’apporto di decostruzione genealogica, come suggerita da Traverso, che ci tutela dall’errore di considerare quell’avvenimento come un fatto superato, lontano nel tempo e dalla nostra quotidianità. Ovvero, quel tipo di approccio che dia la possibilità allo studente di vedere collegamenti tra le varie conoscenze e il progetto culturale e formativo unificante.

Possiamo, pertanto, fare nostra l’osservazione avanzata più di dieci anni fa - nel 2005 - dall’allora ispettrice ministeriale Anna Piperno nel corso del quarto seminario residenziale sulla didattica della Shoah a Bagnocavallo:

«In Italia, se molto è stato fatto in questi ultimi anni, anche grazie all’emanazione della Giornata della memoria e ai vari progetti sostenuti dal Ministero, molto ancora resta da fare. Infatti una analisi dei libri di testo rivela che al tema specifico della Shoah sono dedicate pochissime pagine anche nei testi rivolti agli studenti delle scuole superiori. Quindi sarà necessario – evidenzia – predisporre testi e strumenti didattici che aiutino gli insegnanti a destreggiarsi in un tema che per le sue implicazioni è estremamente complesso: occorre evitare che si parli solo dello sterminio ebraico sottacendo delle altre vittime del regime nazista, ma, nello stesso tempo, evitare quel fenomeno della banalizzazione della Shoah, che si riscontra in molti paesi europei, dovuto forse anche alla eccessiva sovraesposizione degli studenti a temi trattati dai media in modo assai superficiale»[9].

 

Sulla base di questa dichiarazione possiamo rilevare che se poteva sembrare solo una carenza di tipo quantitativo nei manuali, questa carenza, laddove viene superata, denota ancora, dopo più di dieci anni, una carenza di tipo progettuale e metodologica. Non compare un’attenzione specifico all’uso delle fonti, una riflessione sulle potenzialità comunicative e simboliche delle immagini, accompagnate da striminzite didascalie, una riflessione sulla responsabilità individuale[10]. Nei tentativi di fornire una visione d’insieme dello sterminio, sfugge la narrazione della “zona grigia” e «si tende a stemperare la gravità degli effetti»[11] delle leggi razziste italiane. Dal punto di vista didattico permane la questione nodale del dare un senso e una prospettiva ai contenuti laddove, come già nel 1993, si vuole dare profondità educativa al lavoro degli storici attraverso un dialogo continuo fra ricerca storica e sperimentazione didattica[12].

 

Francesca Rennis

 



[1] Ad esempio il sito https://it.pearson.com/aree-disciplinari/storia/storia-in-classe/didattica-in-rete/shoah.html#

[2] Resoconto pubblicato in G. Luzzato Voghera – E Perillo (a cura di), Pensare e insegnare Auschwitz. Memorie storie apprendimenti, Franco Angeli, Milano 2004, reperibile dal sito www.clio92.it. La scheda, che posto in allegato al presente lavoro, è articolata in una sezione di tipo descrittivo, una seconda per la valutazione e la disposizione degli argomenti e dei relativi problemi storiografici.

[3] Luogo comune derivante, come approfondiremo in seguito, da una “narrazione egemonica” nell’Italia del dopoguerra in cui ha prevalso, anche per opportunismi di politica internazionale, l’interpretazione di De Felice.

[4] Cfr. G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945, Ufficio Storico SME, Roma 1997. Il termine di “internato militare” fu adottato su ordine di Hitler il 20 settembre 1943 a causa di «risentimenti condizionati sia dalla storia, sia da criteri di ordine razziale» (p. 9) e per rispondere ad obiettivi di economia degli armamenti tedeschi (p. 23) e «per garantire la stabilità del sistema fascista» che prevedeva di «armare e addestrare una Divisione della Milizia» (p. 39). Cfr. G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino, Bologna 2004, dove, tra l’altro, a p. 42: «I compiti cui sarebbero stati destinati i prigionieri italiani vennero fissati da Berlino nelle loro linee essenziali ancor prima della firma dell’armistizio. A causa della profonda diffidenza di Hitler e dello stato maggiore e dell’assai diffuso timore di un “secondo tradimento”, un nuovo reclutamento su vasta scala dei militari italiani non venne preso in considerazione. Nell’autunno del 1943 si ritenne di gran lunga preferibile impiegare questa notevole quantità di manodopera nell’industria bellica. Tuttavia, da quando si era insediato il nuovo governo fascista repubblicano, non era possibile trattenere come prigionieri in Germania i soldati italiani senza danneggiare la Rsi e mettere quindi a repentaglio le finalità stesse dell’occupazione tedesca. La decisione di considerare i militari italiani alla stregua di una “massa da impiegare nell’economica di guerra” e di non venire quindi incontro alle richieste italiane, non fece altro che evidenziare il ridotto margine di manovra del governo Mussolini. Questo dilemma fu all’origine di diversi cambiamenti nello status dei militari italiani caduti nelle mani dei tedeschi. A questo riguardo si possono distinguere tre fasi: nel lasso di tempo compreso fra l’armistizio e il periodo immediatamente precedente la nascita della Rsi i militari italiani vennero considerati “prigionieri di guerra”; a partire dalla fine di settembre del 1943 venne loro attribuito lo status di “internati militari”; infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, divennero “lavoratori civili”».                                                                                                                                                                                         

[5] Dobbiamo a Carlo Spartaco Capogreco lo studio sistematico dell’internamento civile nell’Italia fascista con diversi testi. Cfr. C. Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino 2004, nonché studi monografici sul campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, il primo ad essere costruito su un progetto. Cfr. Idem, Ferramonti, la vita e gli uomini del più grande campo di concentramento fascista (1940-1945), Giuntina, Firenze 1987

[6] F. Focardi, Il passato conteso. Transizione politica e guerra della memoria in Italia dalla crisi della prima Repubblica ad oggi, in  F. Focardi – B. Groppo (a cura di), L’Europa e le sue memorie, op. cit., pp. 51-90

[7] Il seminario è stato indetto dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) e dall’Associazione Figli della Shoah in collaborazione con la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano.

[8] F. Costantini, Insegnare oggi la Shoah: manuali di storia e percorsi didattici, pp. 3-4 in www.intrenoperlamemoria.it

[9] Il contributo è stato pubblicato con gli atti del convegno  in A. Chiappano – F. Minazzi (a cura di), Il paradigma nazista dell’annientamento. La Shoah e gli altri stermini, Giuntina, Firenze 2006, pp. 13-14. In quell’occasione l’ispettrice ministeriale era intervenuta soprattutto come componente della delegazione italiana presso la Task Force International on Holocaust Education, Rimembrance and Research.

[10] A. Minerbi, La Shoah nei manuali delle suole superiori, in M. Baiardi – A. Cavaglion (a cura di), Dopo i testimoni, op. cit., pp. 333-337

[11] Ivi, pp. 336-338

[12] Nell’introduzione agli Atti del convegno Insegnare Auschwitz (1993), Enzo Traverso scriveva che «pensare Auschwitz significa …pensare la condizione dell’uomo nel mondo moderno e questo compito non può essere affidato solo al lavoro degli storici. Non occorre aggiungere che ciò che ha delle importanti implicazioni riguardo alla trasmissione del sapere; per insegnare il genocidio ebraico non è sufficiente un manuale di storia». Cfr. E. Traverso (a cura di), Insegnare Auschwitz, op. cit., p. 11