Focus sul negazionismo, "storia di una menzogna"

Il libro di Claudio Vercelli esamina i diversi tipi di negazionismo, tra cui quello arabomusulmano

Un fenomeno pervasivo, sfuggente, caparbiamente incisivo nella realtà contemporanea per i suoi risvolti politici e ideologici, il negazionismo va affrontato, per conoscerlo, nella sua complessità, sia dal punto di vista storico che socio-politico, nonché metodologico, anche nelle variazioni assunte sotto la forma della banalizzazione. Il testo scritto per Laterza dal ricercatore di Storia contemporanea presso l’istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, Claudio Vercelli, affronta le problematiche collegate al negazionismo da diverse sfaccettature evidenziando come questo non riguardi solo la negazione dello sterminio nazista, perché sui tradizionali presupposti di base si sono addentellati aspetti concettuali, ideologici, politici con ricadute nella discussione pubblica. E’, quindi, un “fatto” sociale di grande rilevanza – evidenzia - che ci aiuta a capire dinamiche contemporanee e che deve essere compreso nella sua ampiezza e complessità. “Fatto” sociale – questo il suo presupposto di stampo durkheimiano - perché si presenta all’uomo comune, all’osservatore, come un dato esterno e indipendente, oggettivo, non modificabile.

Il dato più significativo e pregnante, ma anche più sconcertante riguarda l’elaborazione negazionista, intermediata dai mezzi di comunicazione di massa, dell’ultima fase, quella che nasce dall’intreccio tra l’adozione che del negazionismo è stata fatta dall’islamismo radicale e la sua capacità, appunto, di propagarsi sul web.

Dopo aver esaminato le precedenti fasi dello sviluppo del negazionismo, da quello americano, a quello economicista e a quello tecnico, dedica il quinto capitolo al negazionismo nei paesi arabi e musulmani, considerandone le caratteristiche in tre paragrafi: Nuovi approdi, vecchi rancori; Un universo a sé; Tra rappresentazioni e manipolazioni.

Nei capitoli precedenti aveva snocciolato diversi nodi problematici, tra cui

-         - la legittimazione del negazionismo in ambiti accademici;

-         - la differenza tra revisionismo storico e revisionismo negazionista;

-         - l’influenza della comunicazione massmediatica nello sviluppo del negazionismo

-    - la capacità di porsi in modo nuovo come «ambito di raccordo tra i vecchi filoni del negazionismo e ciò che negli ultimi due decenni ha avuto modo di definirsi e strutturarsi come rifiuto da destra della globalizzazione, intesa come manifestazione concreta del “mondialismo”» (Vercelli, p. 140).

Il nuovo interesse per la negazione della Shoah

 

«rinnova l’attenzione spasmodica per l’ebraismo in quanto regista occulto dei processi di finanziarizzazione dell’economia che dagli anni Ottanta attraversano le società del pianeta. L’accusa che più frequentemente viene levata contro ciò che è chiamato “sionismo” (espressione che sempre più spesso si accompagna a “giudaismo internazionale” o “ebraismo cosmopolita”, termini che convergono e concordano nel definire gli ebrei come parte di una massoneria diffusa e ramificata a livello planetario) non è solo quella di muovere le pedine nello scacchiere mondiale per proprio diretto tornaconto economico. Dietro di esso ci sarebbe la volontà di dare corso a un disegno di ibridazione e meticciato culturale che starebbe travolgendo le comunità locali. Il fantasma che viene evocato, sotto diversi nomi – uno dei più richiamati è quello della cosiddetta “americanizzazione” -, è l’omologazione socioculturale. Intesa come distruzione della diversità etnica, linguistica, culturale, storica e intellettuale. Dietro a questo processo di distruzione sistematica delle diversità ci sarebbe una volontà precisa. Questo terreno di illazioni si rivela particolarmente fertile e promettente poiché diventa il luogo di incontro tra sensibilità che non necessariamente nascono dal medesimo ambiente, quello della destra, ma che possono senz’altro trovare dei comuni denominatori. Il nesso che viene stabilito tra il “mito dell’Olocausto” e l’azione contro i palestinesi dello Stato d’Israele – oggetto quest’ultimo di un biasimo che mette in discussione la ragione storica della sua stessa esistenza – diventa l’anello di saldatura che permette di riabilitare sotto nuove spoglie l’antisemitismo di antica data, rinnovandolo verso oggetti di avversione più presentabili, ovvero meno direttamente identificabili con quel pregiudizio criminale che è all’origine dello sterminio» (p. 140-141).

In questo quinto capitolo analizza la “quarta” stagione del negazionismo:

«Dopo l’apologetica neonazista, la deriva pseudoborghiana e il ‘revisionismo tecnico’, si perviene infine all’accusa definitiva contro lo Stato d’Israele. La Shoah sarebbe un prodotto dei “sionisti”, l’invenzione di uno strumento ideologico con il quale ricattare l’Occidente e il mondo intero per ottenere i peggiori benefici, derivanti dalla politica di persecuzione dei palestinesi e, più in generale, dei musulmani. […] E’ l’intero ebraismo, ancora una volta, ad essere messo sotto il vaglio di spietate e inappellabili accuse che rimandano, come corollario, alla vocazione egemonica che esso esprimerebbe, volendo controllare il mondo intero. Non è un caso se a sostenere queste asserzioni, che si rifanno al più vieto antisemitismo, siano quei movimenti populisti e fondamentalisti che trovano nell’islamismo radicale un ancoraggio ideologico così come una forte leva di proselitismo sociale» (p. 142)

 

Questa forma di negazionismo si avvale e s’intreccia con i precedenti filoni tematici ma ha raggiunto un proprio sviluppo autonomo consequenziale al conflitto arabo-israeliano e alle tensioni palestinesi finendo con l’assumere una forma strutturata pubblica, una vera e propria ideologia di Stato adottata da parte del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad e assumendo così le connotazioni di un’impostazione dottrinaria. Vercelli recupera le varie fasi di questo processo offrendoci uno specchio della nostra contemporaneità deformante la verità dei fatti eppure tanto credibile da diventare nucleo di aggregazione culturale.

In definitiva, il negazionismo ha assunto forme diverse a seconda delle vesti ideologiche e politiche: per la destra la forma di minimizzare gli esiti catastrofici del nazismo mentre a sinistra quella di denuncia della Shoah come “diversivo” rispetto ai crimini del capitalismo; per i paesi dell’est europeo come strumento di giustificazione al collaborazionismo. Per gli autori arabi, invece, perde la sua connotazione razzista mentre sono presi di mira il sionismo, concepito come dottrina razzista, e Israele come entità politica non riconosciuta. La diffusione del negazionismo nei paesi arabi si è innestato nel pubblico dibattito divenendo una componente culturale, rinforzata dalle autorità istituzionali e politiche, dai mezzi di diffusione mediatica, acquisendo, così, un grado di legittimazione pubblica tesa a delegittimare, invece, lo stato d’Israele. Per quanto riguarda i contenuti, vengono selezionati e riletti in modo strumentale. A questo proposito viene presa in considerazione la tesi di dottorato di Mahmoud Abbas, divenuta poi il celebre libro L’altro lato,  nella quale viene messo in discussione il numero di morti causato dal genocidio nazista, il quale sarebbe invece un “mito”  creato ad hoc, una strategia sionista, per ricavarne vantaggi politici e viene sostenuta la tesi di connessione tra il movimento sionista e il nazismo.

 

«In altre parole, obbligare i propri interlocutori a rendere ossessivo omaggio a uno sterminio tanto terribile quanto inesistente serve a impedire ai medesimi di vedere un presente invece concretamente tragico, quello dei palestinesi e, più in generale, delle genti mediorientali, ancora sottoposte agli effetti di lungo periodo del tallone coloniale e imperialista. Entra in questa logica il riferimento, che spesso si accompagna nella pubblicistica araba, al fatto che i comportamenti degli israeliani e degli americani siano assimilabili, senza soluzione di continuità, a quelli dei nazisti. Una banalizzazione, quest’ultima, che ha un forte riscontro nei giudizi di senso comune e che trova molti addentellati nelle facili associazioni di idee tra la condizione odierna delle aree di conflitto e i luoghi della morte di settanta e più anni fa. Un caso per tutti è l’accostamento tra la Striscia di Gaza e il ghetto ebraico di Varsavia» (pp. 153-154)

 

La relativizzazione delle sofferenze ebraiche è un'altra modalità retorica messa in atto dal negazionismo arabo musulmano che si lega alla minimizzazione del genocidio e alla comparazione con tragedie provocate dalle guerre in altri paesi. Il fine è quello di rimuovere l’unicità dello sterminio nazista. La ripetizione di stereotipi negazionisti innestati nel discorso populista del fondamentalismo islamico hanno offerto una «saldatura tra  due discorsi apparentemente antinomici, quello di destra e quello di sinistra» (p. 165) in cui sionismo ed ebraismo, diventati sinonimi,  si saldano a colonialismo e razzismo per sostenere presunte “falsità storiche” utili a delegittimare lo Stato d’Israele e a spiegare un presunto complotto sionista internazionale.

Il passaggio all’odio razziale è breve, così come ad una rappresentazione fuorviante della situazione attuale che dovrebbe essere compresa al di fuori di strumentalizzazioni e battaglie ideologiche.

 

Francesca Rennis

 

 


Al processo di Norimberga furono presentate le prove dello sterminio. APPROFONDIMENTO
Al processo di Norimberga furono presentate le prove dello sterminio. APPROFONDIMENTO

DEFINIZIONE NEGAZIONISMO

 “Fenomeno culturale, politico, giuridico non nuovo” che “si manifesta in comportamenti e discorsi che hanno in comune la negazione, almeno parziale, della verità di fatti storici percepiti dai più come fatti di massima ingiustizia e pertanto oggetto di processi di elaborazione scientifica e/o giudiziaria di responsabilità”. (Joerg Luther, L’antinegazionismo nell’esperienza giuridica tedesca e comparata, Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – Polis, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogacro”, Working Papers n. 121, giugno 2008)

 

Pur distinguendo diverse fasi del pensiero negazionista, questo si presenta come narrazione fondata sul sospetto, da forti connotazioni politiche strumentali che legano la negazione della Shoah ad un immaginario antisemitico (in cui prevalgono etichette antropologiche che presentano l’ebreo come cospiratore o finanzieri, come persona incline alla menzogna). Neofascismo, radicalismo di  gruppi della sinistra più estrema e viscerale antisionismo militante delle frange islamiste sono le componenti stratificate di un fenomeno che ha acquisito nuova vitalità dal sistema delle comunicazioni di massa. 

 

 

SCHEDA CRONOLOGICA sul NEGAZIONISMO

 

Diversi atteggiamenti dal dopoguerra ad oggi:  

1.      ORIGINE: nel nazismo stesso

I nazisti furono parte rilevantissima nella negazione del crimine, a partire dal linguaggio, un vero e proprio gergo di copertura, la Sprachregelung (regolazione del linguaggio) che doveva occultare o rendere indecifrabili gli eventi attraverso il ricorso a un linguaggio elusivo, eufemistico, allusivo, metaforico, spesso intriso di parole anestetizzate dal burocraticismo espressivo in cui erano avvolte.  I primi a praticare esercizio di negazione della realtà dei fatti furono, quindi, gli stessi assassini, consapevoli non solo della responsabilità che andavano assumendosi nel momento in cui portavano a termine uno sterminio di massa ma anche della necessità di cancellare ogni minima traccia di quanto era stato fatto. La negazione (il silenzio) era parte stessa della tragedia che si andava consumando con le dinamiche della macchina dell’assassinio di massa che funzionava in tre direzioni: disintegrazione dei corpi, cancellazione delle tracce dell’esistenza trascorsa delle vittime, la rimozione di ogni prova di quanto era avvenuto.  

Sono i nazisti a deridere le vittime dicendo loro che non sarebbero sopravvissute ma che neppure in questo caso saranno mai credute. Il sogno di Primo Levi raccontato in Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1989, pp. 58-59, o anche in I sommersi e i salvati: I militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: “In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà […] E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti”.


 
FASI STORICHE del NEGAZIONISMO

 

1.      Un periodo caratterizzato dall’indirizzo neonazista, teso semplicemente ad occultare i crimini del regime hitleriano (1945-1965) e FASE AMERICANA. Il revisionismo isolazionistico americano, sviluppatosi tra il 1919 e il 1950 costituì una prima intelaiatura concettuale che sarebbe stata ripresa, nei tempi successivi, dai negazionisti non solo statunitensi. 

2.      Una fase economicista che ha raccolto alcune suggestioni del negazionismo della destra radicale ritraducendole però all’interno di un apparato concettuale di derivazione marxista (1965-1978);

Anni ’70: trapasso del negazionismo da fenomeno di nicchia (ambito neonazista e fascista) a evento mediatico  

3.      Periodo cosiddetto “negazionismo tecnico” che ha tentato di sganciare l’intero impianto critico da alcune delle sue più marcate premesse ideologiche, fondando i suoi giudizi di valore sull’analisi e la rilettura polemica delle fonti (1978-1990);

Anni ’80- negazionismo tecnico (p. 17) che si lega a capziosità lessicale, ovvero a un’interpretazione alterata, prodotto di un cortocircuito semantico.

Seconda generazione di negazionisti: Robert Faurisson che eredita da Arthur Butz l’ideale di una conoscenza oggettiva. Mutano le retoriche del negazionismo. In particolare, Faurisson, facendo leva sulla libertà di espressione di pensiero e sui diritti democratici:

-          nega l’esistenza delle camere a gas

-          confuta la volontà di Hitler di sterminare gli ebrei.

4.    Quarto e ultimo periodo, tuttora operante, che nasce dall’intreccio tra l’adozione che del negazionismo è stata fatta dall’islamismo radicale e la sua capacità di propagarsi sul web. NEGAZIONISMO DEI PAESI ARABI : minimizza il numero delle vittime, banalizza le specificità della Shoah nel confronto con altri crimini di guerra, processo di demonizzazione dei sionisti/ebrei, delegittimizzazione dello Stato d’Israele fondato su falsità storiche, che vedono la globalizzazione come prodotto del cosmopolitismo giudaico e di un complotto internazionale.

 

METODO E STRATEGIE DEL NEGAZIONISMO

Strategie: chiedere prove concrete, ossia riscontri oggettivi. Secondo i negazionisti, non essendoci stato nessuno sterminio, questo deve essere provato da chi ci crede, per cui mettono in discussione con ragionamenti di tipo tautologico, chiuso su se stesso  in quanto la conclusione precede le prove,  ciò che chiamano in modo sarcastico “olocausto mania”, “menzogna olocaustica”, “sacra vulgata olocaustica”. Allo scetticismo si accompagna quindi anche una forma di cinismo. Secondo i negazionisti, che vorrebbero far passare le loro tesi per revisionismo storico senza averne le caratteristiche (in quanto basano le loro asserzioni su una manipolazione del significato del materiale oggetto delle loro valutazioni), la storiografia è viziata da un pregiudizio di fondo, quello di sostenere aprioristicamente e pregiudizialmente l’esistenza dello sterminio. Al limite (posizione riduzionista) lo sterminio ebbe luogo con modalità e proporzioni diverse da quelle richiamate dalla storiografia, comune minori.  

 

 

*Dati presi dal libro stesso di Claudio Vercelli

 


Considero il tema del negazionismo cruciale nella didattica della Shoah soprattutto per considerare aspetti contemporanei dell'uso della storia; quelli più deleteri, inquietanti, a volte incomprensibili per il cinismo che li accompagna. Sotto le immagini di camere a gas e forni crematori. Per non dimenticare...