Incontriamoci

di Alessandro Citro

Magari anche solo per un giorno, uno soltanto, ma anche uno, soltanto uno, potrebbe valere come la tappa di una vita. Potrebbe testimoniare una volontà di conquista, ancor prima che sociale e culturale, esistenziale e spirituale. Potrebbe dislocare lo sguardo interiore dallo spazio dei pregiudizi e dalle visioni di condanna verso un territorio mentale in cui detriti e immondizie del nostro psichismo vadano per sempre in autocombustione, liberando energie nuove e potenti, capaci di affrontare e travolgere logiche rassicuranti e conformistiche.

E’ avvenuto. Un incontro tra ragazzi che, per lanciare ponti verso il futuro, affronteranno a breve l’esame di maturità e uomini già formati, portatori di memorie dal sottosuolo, che tra poco tempo, dopo un percorso educativo di rielaborazione critica delle proprie azioni, usciranno dal carcere per sostenere con speranza anch’essi la messa alla prova di una responsabilità, desiderata ma anche temuta. Tutti alunni, tutti frequentanti la stessa scuola - l’istituto alberghiero -, una scuola che nel ricevimento, nella ospitalità e nell’accoglienza ha la sua missione e la sua cifra identitaria.

Si tratta di una scuola bicefala, articolata in due forme istituzionali che presidiano e connotano lo stesso territorio e che ha dato un senso ulteriore alla sua vocazione educativa, realizzando questo incontro. Un vero incontro.

Un incontro tra vissuti alternativi e altri più omologati; tra vissuti che hanno deviato dall’ordinamento sociale per diversi motivi di debolezza e vissuti orientati secondo le regolari aspettative del consorzio umano ; vissuti che hanno lasciato un segno nel mondo e altri che scalpitano per entrarci; tra vissuti che hanno compiuto un viaggio al termine della notte e vissuti che si sbucceranno le ginocchia per imparare a non smarrirsi in essa.

Questi vissuti hanno dialogato e si sono parlati, dopo essersi annusati inizialmente, scoprendo, probabilmente, affinità personali e cammini a volte similari. Spesso il carcere è vissuto come un tabù mentale prima ancora che sociale e culturale, come una gomma che cancella per sempre l’identità profonda della persona umana. Sia chi lo ha affrontato per colpa di demoni personali sia chi vuole cooperare a combattere questi stessi demoni ha dovuto, inevitabilmente, fare ricorso a spazi interiori di introspezione e di decantazione per far sopire tensioni, panico e angosce.

Ma, alla fine, si è vinta la paura di essere lì, gli uni di fronte agli altri, forse neppure assai convinti di esserci, forse perché spinti da insegnanti, responsabili ed educatori che giornalmente combattono contro le logiche dell’esclusione e della estraneità. Eppure, il coraggio di questo confronto è stato tutto loro, di chi ha deciso di affrontare un momento ignoto, un luogo ignoto, una circostanza ignota. Il coraggio di vedersi senza maschera fino a dichiararsi nudi in volto e nell’anima, mostrando, da una parte, cicatrici e sfregi sofferenti e, dall’altra, sogni e desideri immacolati.

Due posizioni opposte, due mondi diversi che, incontrandosi e guardandosi, hanno trovato la loro sintesi, tra domande e ascolto, tra sorrisi e imbarazzi tra visi tirati e posture accoglienti.

Il convivio finale ha suggellato questo momento divenendo l’offerta di un dono appositamente preparato per significare, simbolicamente, l’impegno di prendersi cura vicendevolmente senza girare lo sguardo dalla parte opposta, bensì attestando il valore di una presenza e di un’ attenzione sempre gratificante gli uni verso gli altri.

Per un giorno, dunque. Eppure chi è capace di compiere questi atti anche solo in una tappa potrà scoprire che in essi è già annunciato il traguardo dell’intero cammino della vita.