Gli aspetti caratterizzanti il concetto di cura in pedagogia, articolati nella attività di educatore/insegnante

di Alessandro Citro

Nonostante il dipanarsi incessante dei modelli sociali e delle teorizzazioni vincenti nei particolari momenti storici, alla base del concetto di cura in pedagogia si trova sempre una domanda fondante: come curare? Si Pone così, alla base di questa riflessione, la presa in carico di uno o più soggetti alla ricerca di puntelli e fondamenti esistenziali per affrontare e sostenere i processi decisionali della vita.

 

La pedagogia, considerata nel passato come un’entità ancillare nel processo di /formazione dell’individuo e del suo sé, attualmente possiede i marcatori educativi più potenti per far emergere e distinguere sia processi endogeni di riflessione (cura-sui) sia per slanciare le virtualità innate del soggetto, smarcandosi definitivamente dai saperi e dalle discipline, filosofia, psicologia, psicanalisi, che ne hanno contrastato il suo evolvere. Nello sviluppo diacronico per definire l’identità della cura in pedagogia dal Socrate platonico, passando per sant’Agostino, fino a Pascal, Montaigne e Rousseau, risulta centrale la connotazione tensionale, dialettica tra maestro e discente che tramonterà nel Romanticismo per analizzare e approfondire invece la cura familiare.

 

Oggigiorno sono le scienze umane che sondano vari modelli di cura con i quali la pedagogia si interfaccia, riflettendo, plasmando e rielaborando la propria visione della cura. In questo divenire polimorfico e metariflessivo emerge il dato che non vi siano caratteri assoluti di intervento pedagogico ma, al contrario, a seconda del caso dell’evento e della situazione, promana la cura adatta. Cura che significa essere-con, essere-a-fianco, esser-pronti, donando e sostenendo oblativamente, avendo come obiettivo la crescita e la realizzazione del/dei soggetti a fianco. Tutto ciò non in maniera intrusiva o manipolativa ma vigilando, mediando, custodendo, a volte anche rinnegando e rimettendo in discussione sé stessa, (e se stessi!), per definire onestamente e ulteriormente i propri territori di intervento che, nel processo educativo, assumono sempre contorni magmatici ed evanescenti, spesso irripetibili a seconda del/dei casi. Le abilità applicative a fondamento della esperienza scolastica quali il narrare, il leggere, lo scrivere (anche di sè) delineano il percorso educativo in cui sono immersi i soggetti in divenire, costituendo i tasselli formativi per un adeguato sviluppo della mente e dei suoi processi.

 

Spesso nella quotidiana e personale esperienza del lavoro in aula la teorizzazione e la dottrina sono messe in scacco dall’urgenza dei vissuti degli allievi che sempre più sono connotati da situazioni emergenziali di disagio esistenziale (a volte psichico) per cui necessiterebbero, ognuno di loro, di un accompagnamento e di un affiancamento personalizzati per affrontare al meglio la realtà scolastica. La loro totale immersione in un tempo storico ormai digitalizzato (nativi digitali) annulla quei momenti di sospensione temporale necessari per affrontare le abilità di base a fondamento della loro formazione. Spesso ci si rende anche conto di essere inadeguati e impotenti di fronte a situazioni di precarietà presenti in classi non omogenee per cui l’attenzione necessaria risulta impossibile per un congruo sviluppo dell’allievo che non esercita più i necessari momenti di introspezione, riflessione, mentalizzazione necessari alla sua evoluzione.

 

E dunque si mette in moto un esercizio continuo per esperire strategie adatte idonee ad affrontare la situazione esistente. Sempre tenendo presenti i tasselli educativi di cui abbiamo parlato sinora e tenendo ben presente l’irripetibilità e l’unicità di ognuno dei soggetti. Un compito arduo del quale si sente tutta la responsabilità e a volte anche la solitudine ma che va coltivato irrinunciabilmente proprio perché fondante nella relazione educativa. La richiesta implicita o manifesta che spesso i ragazzi formulano per avvalersi di un mediatore che aiuti loro ad approcciarsi alla realtà tentacolare ( spesso subìta) è l’avvio di una relazione empatica nel processo di formazione pur tra slanci e cadute, euforie e scoraggiamenti. Anzi, proprio i momenti negativi, della depressione, della sconfitta esistenziale, rappresentano i fuochi della piena azione educativa da parte di noi insegnanti.

 

Affermare di essere presente, di non abbandonare, di camminare a fianco negli attimi di smarrimento, di essere riferimento in una ricerca inquieta del proprio sé e del proprio io è il paradigma efficace da dispiegare per una corretta crescita dei soggetti in crescita e in continua tensione dialettica. Occorre farsi sponda da parte di noi insegnanti, attivando energie personali che a loro volte smuoveranno potenzialità formative e scandagli individuali nella coscienza di ogni allievo.