Rosina è viva

“Non la troverete mai” ha avvertito

ma Rosina è ancora viva.

E’ viva con le sue cicatrici

che reclamano una cura

con le botte che chiedono di essere fermate

con le violenze psichiche sepolte in un sepolcro di ignoranza e paura

con la solitudine che l’ha resa fragile e indifesa.

Perché il “nostro” tempo non ha una cronologia.

È il tempo della coscienza

il tempo della r-esistenza

il tempo della solidarietà.

Il tempo della sorellanza.

 

Rosina è viva più che nella memoria

nei gesti quotidiani che invocano

 verità

nell’attimo di un sentimento di smarrimento.

Vogliamo sentirci smarriti

                                    in questa onda di violenza

che arriva fino a noi, mettervi un argine di saggezza,

ascolto, empatia.

E’ un incontro da non evitare, l’incontro ad una presenza.

Le vittime stanno recalcitrando per un abbraccio.

Rosina, quella Rosina che abbracciamo dentro di noi,

sta recalcitrando per un abbraccio.

L’abbraccio senza tempo, fuori dalle molle di schemi  dominanti.

Rosina è ancora viva,

così

è ancora viva.

 

Francesca Rennis

 


Una riflessione sul "caso irrisolto" di Timpa del forno. Cosa penso del libro di Sergio Caruso

 

Nel tempo che Pasolini ha definito della “omologazione repressiva” il comportamento delle donne si pone oggi come r-esistenza civile, come sfida a presentare modelli alternativi di relazionalità, di comunicazione, di libertà, di riconoscimento sociale, politico, istituzionale. Contro quella che nell’ambito di una letteratura femminista e a partire dagli studi del sociologo francese Pierre Bourdieu, è stata denominata “violenza simbolica” a danno dell’autodeterminazione, di uno sviluppo personale autonomo del genere femminile dominato da quello maschile, l’associazione di cui faccio parte si propone di andare oltre il vittimismo e le situazioni negative che si ripercuotono negativamente sul corpo delle donne per porre l’attenzione su modelli positivi, di grande energia, di speranza. Modelli che sostengono ideali di legalità non formale, la presenza fattiva delle istituzioni nella prevenzione dei reati contro le donne. Questo spiega la mia presenza al convegno di presentazione del libro di Sergio Caruso, non solo a livello personale. Il forte input nella ricerca della verità presente nel testo, le sottolineature nella costruzione sociale del “mostro”, l’emarginazione della vittima, sono temi sui quali dovremmo discutere più spesso per comprendere le nostre piccole realtà e le dinamiche che c’impediscono di crescere come collettività restringendo anche la nostra visione di futuro. Il libro ha una sua originalità in questo continuo rimando tra caso particolare e teorie generali, nel ripercorrere attraverso le testimonianze i profili delle personalità coinvolte, le vicende investigative. Ad un contesto di vita difficile, povero, dove prevale un disagio psichico possibile concausa del dramma familiare, fa da sfondo il clima superstizioso, d’ignoranza che può essere colmato – sottolinea Caruso – solo conoscendo a fondo i fatti, l’immaginario personale e collettivo. C’è una forte tensione verso la conoscenza della verità che purtroppo appare più drammatica di qualsiasi ipotesi e immaginazione. Ma soprattutto è viva anche in senso polemico, come sottolinea nella prefazione Villanova, docente di Neuropsichiatria dell’età evolutiva presso l’Università Roma Tre, ogni ricorso alla spettacolarizzazione, al sensazionale, per aprire invece in termini concreti-istituzionali spazi sempre più ampi di prevenzione al crimine e alla violenza contro le donne.

 

Pertanto lungi da un’ipotesi di demonizzazione del probabile assassino, il libro non vuole creare pregiudizi verso un probabile colpevole quanto richiamare l’attenzione al superamento di situazioni simili, spingere semmai ad una soluzione del caso perché con la verità vengano dissolte anche quelle nubi misteriose che incombono ancora nel cuore della popolazione e su Timpa del forno. Riportare, insomma, ad una percezione realistica ciò che è stato enfatizzato simbolicamente come demoniaco, ossessivo, irrazionale.

 

Il metodo utilizzato per questo lavoro divulgativo recupera tra di due poli estremi di indifferenza/rimozione del fatto e spettacolarizzazione che non ci restituiscono la verità, il metodo scientifico di ricostruzione obiettiva attraverso la raccolta delle testimonianze e dei dati ci impone di prendere consapevolezza della dimensione sociale in cui è avvenuta la tragedia, dei limiti di una delle tante Calabrie in cui permangono signori assoluti superstizione e silenzio.

 

Francesca Rennis