Il sogno di Rosina

Testo unico inedito di Anna Macrì

E’ umido qui, sento freddo fin nelle ossa, è buio, silenzioso. Come sono arrivata fin qui, perché non riesco a muovermi?... non sento il mio corpo..non sento la mia piccola. Provo a toccarmi il ventre ma non riesco a trovare la mia mano. Comincio ad aver paura, come mai nella mia vita, nemmeno i suoi occhi mi hanno fatto raggelare tanto. Edwige, piccola mia, dammi un calcio, dimmi che sei ancora dentro di me…

Temo possa avermela strappata via, forse mentre ero svenuta, per una delle mie crisi, forse sono nel sogno di una di esse, vorrei urlare ma non ho più la bocca, non ho più la voce. Sì, devo essere in un sogno, nel bozzolo del mio male. Non sono io, quando mi prende il male oscuro, non sono io. Cado giù, come un sacco vuoto, in balia dei sogni, dei tremori e delle sue botte. Non sono più padrona del mio corpo. Dio, com’è buio e freddo qui… Sono spaventata, non so perché… non sento i suoi calci e le sue parole cattive, rabbiose mentre mi bastona come un cane, perché non lavoro, perché sono … Com’è che dice sempre? …Sì, handicappata! Eh, lui è un uomo di cultura, ha studiato, è un essere superiore, sempre lì a leggere quei suoi libri strani, antichi, di cui è così geloso. Li accarezza con cura, sorride mentre li sfoglia, di un sorriso maligno.

Un giorno gli chiesi di che parlassero, non so leggere io, non ho studiato, e lui mi rispose:” Di come ottenere il favore del mio Signore”… e mi picchiò furiosamente, con quel libro, sghignazzando parole incomprensibili… poi mi prese … come un animale, come sempre.

Così fu concepita la mia piccolina, perché è una femmina, lo so, anche se lui mi ammazza di legnate ogni volta che lo dico. “Ho chiesto un maschio e un maschio mi devi dare, o ti ammazzo, puttana, insieme a lei”… Mi faccio piccola piccola a quelle parole, mi ranicchio accanto al fuoco spento e piango piano, per non infastidirlo, mi stringo il ventre, come a proteggere la mia bambina, mentre i figli miei si accucciano silenziosi accanto a me. Io non le capisco queste cose, mentre mi asciugo il sangue misto alle lacrime, penso che per me i figli sono figli, anche se concepiti da un atto violento, sono gioia per me…

I miei bambini così tristi… i miei piccoli così indifesi… così affamati! Stanno stretti alla mia gonna per tutto il tempo, senza parlare, tremanti se c’è il padre dentro casa che gira come un animale in gabbia, che ci guarda…con certi occhi! Solo quando lui è via, si sentono liberi di sorridermi e giocare; così, mentre preparo quel poco che abbiamo, racconto loro le favole che mi narrava, da piccola, la mia cara madre, e loro sorridono, mi ascoltano, dimenticano la fame, dimenticano il terrore… pur restando all’erta, come i conigli tremanti, quando lui si avvicina a scuoiarli. Poveri figli miei, io non capisco certe cose ma vorrei sapere perché Dio manda i figli per poi farli soffrire. Lo so, non dovrei pensare queste cose, non ora che porto un figlio dentro di me… e poi è peccato.

Sono proprio in un posto buio e nessuno mi cerca… proprio come nel sogno che faccio spesso, durante le crisi del mio male. Però, stavolta sembra diverso, non riesco a svegliarmi. Dio, come sono stanca, dolorante, più dolorante di quando mi ha costretta, da sola, a lavorare ai mattuli, sorridendo come il Diavolo in persona mentre mi sforzavo di fare il lavoro di tre uomini, ingiuriandomi ogni volta che perdevo la fascina, dandomi calci nei reni o pugni nello stomaco se solo rallentavo il ritmo. E quando sono crollata, sfinita, vedendo che nemmeno le botte mi avrebbero dato la forza necessaria per continuare, mi ha punita, con la schiuma alla bocca dalla rabbia. Io tremavo e supplicavo di lasciarmi riposare, per pietà, per amore dei figli che guardavano la loro mamma morta di fatica… ma lui sembrava godere di tutto ciò, “lascia che imparino come devono trattare le donnacce inutili come te, che guardino”…. E costringeva la mucca a passarmi sopra con gli zoccoli duri… sentivo le ossa scricchiolare, la pelle lacerarsi, il cuore scoppiare, mi sentivo Cristo in croce, forse peggio…

Che il Signore mi perdoni….ma sorridevo ai miei piccoli che piangevano, e li guardavo negli occhi terrorizzati,per attirare la loro attenzione, perché non vedessero le mie carni maciullate. E se l’animale, povera bestia più umana di lui, si rifiutava, la batteva con un bastone, gridando come un pazzo… Poi, così conciata, mi costringeva a rincasare, senza pulirmi il sangue o la terra, “a che serve togliere la porcheria dalla porcheria?”,e cucinare quel poco che avevo comperato in paese… o che mia aveva portato di nascosto la mia vecchia madre. La mia mamma cara… come vorrei fosse qui, ora, povera donna. Lo so che piange per me, tutti i giorni, perché non può vedermi, mi è proibito di vedere chiunque della mia famiglia, parlare con chiunque del paese. E lei, sapendo che mio marito non lavora ma vive dei soldi della mia invalidità, pochi soldi che non bastano a sfamare i miei figli, viene di nascosto a casa mia, rischiando di farci ammazzare entrambe, pur di portare qualcosa da mangiare ai bambini e far loro una carezza da nonna. Io piango sempre quando va via, e vorrei andar via con lei ma so che lui mi troverebbe e mi ammazzerebbe, stavolta. E’ geloso, senza motivo, mi segue dappertutto, vuole che cammini a testa bassa ed io lo accontento volentieri, un po’ perché la gente non si accorga dei segni delle botte, un po’ perché ho vergogna a parlar con le persone, quando vado in paese, a comprare quello che gli serve per le sue cene strane, quelle dove apparecchio per tante persone ma c’è solo lui e il suo libro, mi fa rabbrividire, mentre parla da solo come se ci fosse altra gente… e parla in quella lingua strana, la stessa che usa in certi riti, in certi periodi dell’anno; dice che sono buoni per il raccolto… e lo dice guardandomi con due occhi da folle… La gente lo chiama “l’adoratore del Diavolo”, dice che c’è la “fattura”, la “mano nera” sulla nostra casa, per questo nessuno viene mai da noi…

Ma che c’è ora? Sento delle voci in lontananza, voci ovattate che urlano il mio nome. Tra tutte..le voci dei miei figli…Sono qui, sono qui… Mio Dio... quella voce... la sua voce... tremo... mi assale il dolore, la violenza, la paura, il terrore, le mancanze, la sofferenza… mi uccidono, quella voce mi uccide.....Ora ricordo….Io sono morta oggi… Io e la mia piccola Edwige… siamo morte per mano sua.... Lui ci ha uccise!

Sono qui… venite a prendermi..non lasciate la mia piccola al buio, non lasciatela senza una preghiera, vi prego… Non lasciate i miei figli in mano sua ve ne prego…. Vi prego, ascoltatemi…ascoltatemi… ascoltatemi…

Nessuno mi ascolta, nessuno mi sente, si allontanano,vanno via….

Che Dio abbia pietà dei miei figli…. che Dio abbia pietà per la mia mamma sconsolata e la mia famiglia... che Dio abbia pietà di chi ha taciuto, di chi ha voltato il capo… che Dio abbia pietà di tutti voi…e anche di me, che ero Rosina… ero madre… ero moglie…. ero figlia… ero sorella…. ero donna e ora, sono un fiore in un campo solitario che gronda sangue innocente….

 


Anna Macrì è attrice calabrese che lavora presso il teatro di Calabria "Aroldo Tieri" di Catanzaro. Ha voluto dare voce a Rosina dopo aver letto il libro di Sergio Caruso "Non la troverete mai", regalandoci in anteprima, nel corso della prima presentazione del libro a Fagnano Castello, un monologo che ha lasciato il numeroso pubblico emozionato e commosso. Ringrazio personalmente Anna per avermi dato la possibilità di pubblicare il suo testo.