Gioco e omologazione di massa, il futuro già segnato della mia infanzia

Il gioco della campana
Il gioco della campana

Era un mondo, quello degli anni ’70, in cui non si percepiva ancora la dimensione “turbo” del tempo. Scorreva in fretta, ma quando si giocava! Si respirava un’atmosfera come cotonata, gli eventi non ci sfioravano che da lontano. Non si parlava ancora di villaggio globale, nonostante si auspicassero cambiamenti di nuove libertà. Si progettava, il futuro prometteva traguardi che andavano oltre i residui del boom economico, oltre i timori degli anni di piombo, anche se i destini di ciascuno di noi sembravano già tracciati. I bambini potevano ancora giocare nei cortili sottocasa senza che nessuno degli inquilini si lamentasse e, soprattutto, senza che qualcuno pensasse a turbarne la serenità. Ricordo che s’era formata sotto casa proprio una bella combriccola. Organizzavamo i giochi con un entusiasmo che sentivamo solo alla promessa di un gelato. Si, perché bisognava attenderlo come evento speciale e il gusto si amplificava nella memoria rendendolo più appetitoso. I giochi. C’erano i giochi. Qualche volta anche le feste, ma non c’era ancora il bisogno sfrenato dello sballo. I tempi erano cadenzati dal ritmo del dovere. Si faceva quello che si “doveva” fare, prima di tutto, categoricamente! Il massimo della trasgressione consisteva nel disegnare lo schema della “campana” per terra con quel gessetto che eravamo riusciti a rubare in classe. Non c’erano grandi differenze nei comportamenti tra i ragazzi provenienti da diversa estrazione sociale. Sono gli anni in cui si conferma il pericolo profetizzato da Pasolini di una società di massa che tende all’omologazione e a rendere l’individuo conformista e represso. Il livellamento sugli ideali borghesi non apre così la strada solo al qualunquismo e ad una passiva accettazione del consumismo, ma anche a reazioni violente come gli attentati che infestano le maggiori città italiane. Il clima di quegli anni allontana i ragazzi dai cortili, da nuove scoperte e balzi di creatività; staranno sempre di più davanti alla televisione a subire discorsi che non possono essere smentiti se non prendendone le distanze con quegli strumenti critico-riflessivi tanto faticosi da acquisire e, per questo, procrastinabili nel tempo.

 

Francesca Rennis