L’informazione pubblica sacrificata ad audience, profitto, aziende private. Riduzione di spazi democratici?

Solo alcuni minuti al telegiornale delle 20 di martedì 14 settembre 2010 per dire che quello spazio informativo stava per essere divorato da logiche comunicative del “mordi e fuggi”. Solo sessanta secondi per riportare le notizie di un giorno e dal mondo in un nuovo format che dovrebbe assorbire il tg1 di mezza sera. Secondi, minuti, una manciata di parole, una sintesi strigliata che altro non è che la reificazione del linguaggio striminzito dell’era post-tecnologica e post-mediatica.

Una sfida, spiegano i conduttori Alberto Matano, Maria Soave, Emma D'Aquino, a “Uno mattina” dello stesso giorno. Peccato che lo stesso Matano insista sul fatto che il nuovo spazio informativo “arriva tra prima e seconda serata dopo il tg delle 20, il nostro tg principale e a seguire quello principale della notte”, perché invece quello spazio di mezz’ora sarà abolito completamente dal piano dei tagli aziendali. A questo punto abbiamo buoni motivi per chiederci se la velocità dell’informazione non coincida anche con superficialità e ambiguità. A “Uno mattina” c’era anche il direttore Augusto Minzolini, pronto a difendere la nuova “perla” dell’informazione. “Un’informazione più veloce e moderna. Nell’era della web generation anche la televisione deve adeguarsi. Usare nuovi linguaggi e tempi diversi”. Si restringe in pillole l’informazione televisiva perché poi sia “l’utente a decidere – afferma Luigi Caramiello, docente di sociologia presso l’Università Federico Ii di Napoli - quale notizia approfondire”. Lo stile, evidenzia, è quello delle “hot news” tipiche del social network.

Il Comitato di redazione del Tg1 reagisce alzando gli scudi. La nota sindacale viene letta da Francesco Giorgino alla fine di una giornata di cui l’opinione pubblica non ha compreso la portata culturale. E si prende qualche secondo in più perché, forse dall’emozione, inceppa con le parole. Lui, che s’era schierato a favore della Rai quando Maria Luisa Busi ne denunciava la parzialità dell’informazione fino ad abbandonare la conduzione del Tg1. “Da oggi scompare di fatto il tg1 della mezzasera”. In quanti abbiamo rabbrividito a questo “attacco” ritenendolo immediato. “Al suo posto ci sarà un’edizione flash di 60 secondi. E’ una perdita secca di spazio informativo, anche per i telespettatori, in quella fascia del palinsesto. Il format che gli subentra è innovativo ma si risolve in un aggiornamento in pillole. Ciò avviene senza che sia chiara la strategia dell’azienda sull’offerta complessiva dell’informazione Rai: il piano industriale, approvato da mesi, è ancora secretato. Il confronto sindacale - viene precisato - non è di fatto iniziato mentre circolano indiscrezioni su tagli pesanti al monte ore e alle edizioni del Tg1 nell’arco del triennio. E i palinsesti sono stati cambiati senza il coinvolgimento delle redazioni e delle rappresentanze sindacali”. Una chiusura al dialogo, a parere del Cdr “incomprensibile nonostante l’assemblea del Tg1all’unanimità avesse manifestato tutta la sua contrarietà al taglio del Tg della mezzasera. Un metodo inaccettabile che denunciamo con forza”. E l’azienda risponde, dopo aver taciuto il cambiamento fino allo stesso giorno dell’esordio. Il comunicato autorizzato da presidente e direzione generale viene letto dallo stesso Giorgino. “Nel mese di settembre il Tg1 ha confermato tutti si suoi appuntamenti informativi e ha aggiunto quattro nuove edizioni, il sabato e la domenica, complessivamente oltre un’ora in più di trasmissioni. Il nuovo tg in sessanta secondi è proposto ogni giorno tra prima e seconda serata. Una grande sfida informativa, un nuovo telegiornale con un nuovo linguaggio. Il telegiornale vuole porsi al passo con i tempi nel segno della tradizione RAI”.

Il giorno dopo la decisione sembra caduta nel dimenticatoio, forse ritornerà con i nuovi tagli all’organico dei giornalisti. Dalla rassegna stampa si comprende che gli occhi sono tutti concentrati su quanto sta accadendo in Parlamento e sul destino del governo. Giustamente, ma il rischio come al solito è d’incorrere in una visione parziale, mentre sappiamo che le decisioni che riguardano l’azienda radiotelevisiva possono essere funzionali a gruppi di potere e ripercuotersi come boomerang in altri settori.

Le perplessità non nascono tanto dalle modalità di comunicazione di un tale cambiamento quanto da un’azione che ci sembra di vero e proprio sabotaggio del servizio pubblico a favore di quello privato. In nome dello share e del profitto d’impresa si sacrifica l’informazione libera, quella che la Costituzione invita a difendere per aprire e allargare spazi democratici. Non penso si possa parlare d’innovazione o competitività se il servizio pubblico viene dequalificato, ridotto al lumicino per aumentare audience e bilancio. Già immaginiamo la qualità delle trasmissioni sostitutive. Talk show, reality, intrattenimento musicale. La caduta delle coscienze nell’evasione, perché la vita, d’altra parte, si fa sempre più dura. E mentre il tg si allontana dalla vita reale, come denunciato dalla stessa Busi, per entrare in uno sgabuzzino senza aperture, le persone diventano sempre più fragili nel far valere i propri diritti. Riducendo la comunicazione a polpettone com’è possibile, infatti, avere il senso di quanto accade? Un elenco di notizie date in modo affrettato misura i tempi e l’efficienza del servizio, ma fa perdere di vista all’ascoltatore la dimensione olistica del tutto e, con questo, anche le capacità critico-riflessive. Ci avviciniamo, insomma, verso un’informazione sorniona, frammentaria, caotica che l’uomo contemporaneo riesce a gestire con sempre maggiori difficoltà in modo inversamente proporzionale ai propri bisogni, lasciandosi incantare da forme di intrattenimento sempre più sterili e squallide. In questo contesto, che oltretutto vede sempre più lontana la funzione dell’istituzione scolastica nella formazione dell’uomo e del cittadino, l’adeguamento della RAI ai nuovi livelli di comunicazione, appiattiti su gossip e costume, non può che essere letto come un tradimento alla sua mission. E che il Tg1 si sia disimpegnato da contenuti sociali importanti lo ha rilevato anche Sergio Zavoli dall’alto della sua carica di vigilanza.

L’innovazione, a quanto pare, non sempre va d’accordo con la tradizione.

 

Francesca Rennis

23 gennaio 2011