Un mondo in confusione

Di per sé la parola “confusione” indica uno stato di incomprensione, di cose che creando un miscuglio si fondono tanto da rendere indecifrabile il loro stare insieme. La cultura occidentale, fin dalle origini del logos, si è identificata come quella che tenta di dare ordine, di definire il cosmo dal caos primordiale, di rendere intellegibile il mondo, di dividere in categorie secondo somiglianza o differenza. Un percorso che ha portato a numerosi tentativi di definizione del soggetto e alla ricerca metodologica del fondamento del sapere e del vivere comune. Eppure nel quotidiano non si è dissolto quel sentimento di disorientamento che con meraviglia aveva aperto gli occhi alla consapevolezza del proprio viver nel mondo. Il senso della estraneità, il sentirsi straniero, lo smarrimento nel rapporto tra il proprio sé e lo spazio che ci circonda appare in tutta la sua drammaticità. Elementi che richiamano quella rappresentazione che Munch riuscì così bene a trasmettere come “Urlo”. Unire e separare sono termini che conducono da una parte all’omologazione, dall’altra a integralismi. La complessità sociale non può ridursi a semplici categorie soprattutto se si considera l’avanzamento dello sviluppo tecnologico rispetto a quello culturale e sociale. Con la necessità di un pensiero che cerca nuovi modelli concettuali in quello che è stato definito “postmoderno” si giunge ad uno stallo linguistico che rende nel filosofico la paradossalità del vivere contemporaneo.

“CON-fusione” vuole evidenziare nella parola stessa questa paradossalità: presi a sé stanti “con” e “fusione” uniscono, pongono e ricompongono un insieme, una forma, ma riuniti in un unico termine, paradossalmente, dicono tutt’altro. E, così, col Wittgenstein di Ricerche filosofiche, potremmo dire che «Un problema filosofico ha la forma: non mi ci raccapezzo». Ed è difficile districarsi dalla notevole mole di "confusioni" che si sovrappongo a diversi livelli, restituendoci appunto una pluralità di situazioni nelle quali l'uomo contemporaneo trova difficoltà a muoversi senza rimanervi oppresso. Vi è una figura retorica alquanto rappresentativa, in quanto diviene il luogo in cui la parte non può rappresentare il tutto, ma che non riesce ad essere assorbita neanche da un confronto sinestetico. E’ problematica da sè e per questa problematicità che è anche etimologica, inafferrabile, si presta, meglio di qualunque altra, a cogliere l’irriducibile problematicità del nostro tempo.

Allora cosa mi propongo con questo blog? Di raccogliere le contraddizioni del nostro tempo, vedere dove potrebbe esistere un’ipotesi di raccapezzamento, tentare di colmare lacune di comprensione. Insomma, senza alcuna presunzione s’intende, aprire uno spazio di dialogo.

 

Francesca Rennis