Salvatore Rino Viola, tra poesia e architettura

Si tocca con mano la creatività e la passione con cui Salvatore Rino Viola fronteggia due passioni importanti della sua vita, l’architettura e la poesia. Se vogliamo comprendere questo poeta nelle sue più ampie sfaccettature non possiamo dimenticare la sua professione di architetto, così come neppure la sua tensione verso l’oltre che si affaccia nella sua produzione artistica.

Dalla poesia, raccolta diversi volumi, possiamo cogliere aspetti di una ricerca di musicalità che rimanda sempre ad altro. Un autore che da un sottofondo d’ansia e inquietudine costruisce con le attitudini proprie dell’architetto il proprio orizzonte di senso.

 

In queste pagine a lui dedicate, prenderò in esame i testi Per amore e per gloria  (2014) ed Esempi di Arte moderna. Per una città dell’immagine (1994).

 

 

Per amore e per gloria è una raccolta di poesie scelte in cui si conosce e si apprezza l’autore che usa la parola come un fregio, curandola. Potremmo annoverare Salvatore Rino Viola tra i poeti giardinieri delle parole. L’idea è suggerita dai suoi versi dove compaiono fiori, rose soprattutto:

 

tu sei più cara ai fiori (p. 75)

è lì che è seppellito il tempo delle rose (p. 211)

arriva il tempo delle rose d’oro (p. 184)

ho coltivato negli anni ogni ebbrezze affanni (p. 9),

 

ma anche nei modi con cui dispone le parole, quasi fossero petali e petali di memoria.

La metafora di giardiniere della poesia gli si addice anche leggendo un articolo del critico letterario Roberto Galaverni sul Corriere del 20 dicembre 2011 (Il poeta, giardiniere delle parole), al quale mi rifaccio per questa breve recensione del libro.

Quella di Salvatore Viola è una poesia “Per amore e per gloria”, ovvero – ha spiegato lui stesso nel corso delle presentazioni pubbliche che ho curato il 3 luglio a Scalea e il 23 agosto  a Paola – con attenzione all’eros nella sua accezione carnale e ideale e, nello stesso tempo, con la speranza di poter lasciare una traccia di sé nella memoria collettiva.

Ma in questo duetto di amore e gloria, in cui sembra lanciare nastri d’argento all’amore e alla poesia stessa, esprime sentimenti verso entrambi, soprattutto malinconici legati al ricordo.

 

Questa mia vita desolata e sola

che in cuore si racchiude e prega

parole vuote e oscuri incantamenti

la sera si raccoglie tra le mura

e attende

sofferte nostalgie malinconie severe

ed il bilancio fa

del giorno appena tolto.

Nel folto dei pensieri si concentra

e trama quella vita che si avvia

alle questioni non risolte.

Restano soli e pochi

i liberi momenti d’abbandono.

(Poesia n. 77)

 

Canta la poesia che prende forma quasi umana. Diventa sua interlocutrice privilegiata

 

Spendiamo questi giorni per gli affanni

viviamo questa vita senza meta

e lieta la crediamo. Ma vissuta

è per te,

poesia,

mistero della mia malinconia.

(Poesia n. 83)

 

 

Cerca di darne definizioni senza mai scalfirne l’aurea misteriosa da cui proviene. La poesia stessa per sua natura si sottrae alla generalità e all’astrazione, come se non potesse pensarsi al di fuori del particolare momento, di quel determinato corpo linguistico (ci ricorda Galaverni). Montale ne dà una definizione calzante:

 

La poesia è un mostro: è musica fatta con parole e persino con idee: nasce come nasce, da un’intonazione iniziale che non si può prevedere prima che nasca il primo verso.

 

E’ imprevedibile, vive di sensibilità, convincimenti, idee, dell’ideologia del poeta, ma non ne è conseguenza meccanica. Leggendo una poesia ne apprezziamo l’aria di libertà che si respira, l’incedere libero del pensiero tra le parole come se fossero fiori per preservare la capacità di dare significato, anzi significati perché la poesia obbliga il lettore ad attivare le proprie capacità sensibili e percettive, di pensiero e d’immaginazione, di mente e di cuore. E così è visibile quello scarto tra la parola e la sua origine e il modo in cui si compie l’apertura di senso, anche di disorientamento nei confronti della realtà. La poesia, questo strano mostro (dal latino monstrum da monere significa oltre che portento anche prodigio) che nasce furtivamente da un moto irregolare e sghembo dell’anima, diventa riferimento di valori conservando elementi di eticità.

In Viola etico è il ricordo, etico è il pensiero poetante, etico lo spazio che riempiamo di gesti e azioni.

I tre elementi fondanti di questa poesia libera anche nello stile, se non per l’uso di similitudini ed enjambement che s’inarcano da un verso all’altro per accentuarne il ritmo, rimangono la malinconia, la memoria, la libertà che, insieme danno vita al prodigio del verso sciolto finanche dalla fissazione in pagine tanto che il Poeta predilige numerare le poesie anziché “costringerle” in titoli limitanti. E così la speranza nella gloria

 

A te parola amica

infinita dolcezza

che in ebbrezza voli

lascio di me memoria.

E per gloria io vivo

inutile e perversa.

e per la cupa brama

d’essere solo.

(Poesia n. 85)

 

 

 

 

Esempi di Arte moderna. Per una città dell’immagine ci presenta la Città archipatica. Sogno – Utopia – Artefici – Fantasie. Una città che guida le passioni e le regola.

 

Essa è come un sogno, uno di quei sogni che nascono all’improvviso e in temi veloci scompaiono dei meandri della memoria, dai quali sono appena usciti. Forse è la città della coscienza o della sub-coscienza, che emerge, non voluta, a ricordare le storie stratificate e nascoste di ognuno di noi. Non se ne può parlare come di cosa presente, o futura, ma col verbo dei ricordi, con l’era delle sonorità nostalgiche.

È quanto rimane di questo volumetto meraviglioso; meraviglioso perché ci spinge a ripensare i nostri luoghi rimescolando le forme offerte dai maestri del passato per recuperarne il perduto.

 

            L’architettura è vita. Può essere sogno, utopia, ricerca, fantasia

 

 

Così a p. 5 di questa pubblicazione del 1994 di Guido Miano Editore.

 

 

La città archipatica ha le sue radici nell’acropoli greca ed è descritta come «il luogo della libertà totale e creativa». Un luogo d’esperienza visionaria che prende corpo in una serie di schizzetti dimostrativi riprodotti nel testo. L’Architetto-Poeta è anche il viaggiatore instancabile di questa città della quale non è riuscito a raggiungere il luogo detto delle “Residenze dissociate”.

 

 

Ne ho sentito parlare come di un altro modo, dove la liberà è totale, ma intima e profonda, e creativa. Dove le donne sono più belle, più alte, più astute, più libertine, e gli uomini vivono i misteri delle cose che costruiscono. Forse non esiste un luogo così. Me ne hanno parlato. Con meraviglia,forse con timore.

 

 

 

E per comprendere meglio questa città, la sua filosofia di fondo, Viola ci partecipa di alcune storie, di cui ripropongo un assaggio, e una silloge sui luoghi del poeta.

Altre raccolte di Salvatore Rino Viola: Tra le pareti nell’aria (Tecnos edizioni 1995) , L’estate che… (2016)