Potere & Poteri. Il backstage della politica calabrese

La ricostruzione di Attilio Sabato tesa al cambiamento

«Caro amico mio, la politica è simile a un cantiere e come tale deve rispettare le sue regole e la sua struttura organizzativa. Mi spiego meglio: c’è il responsabile del corpo di fabbrica, il direttore dei lavori, il capo cantiere, il capo squadra, il muratore, il ferraiolo, il manovale. Ognuno, cioè, ha un compito a cui assolvere, la stessa cosa deve avvenire in politica. Ora, spetta a voi scegliere il ruolo che intendete svolgere».

 

Sono parole che Riccardo Misasi rivolse all’allora segretario della sezione della Democrazia  Cristiana di Roggiano durante una cena in cui Misasi, allora deputato, incontrava un gruppo di sindaci “insofferenti”. Questo è il discorso da cui Attilio Sabato trae il titolo per il primo capitolo, e che esemplifica il senso dato alla politica in quegli anni. La stagione Misasi, 40anni di vita politica calabrese, è uno degli argomenti più significativi nell’excursus di vicende, volti, aneddoti proposti da Attilio Sabato in questo testo edito da Pellegrini dal titolo altrettanto significativo: Potere & Poteri con una “e” commerciale che sottende il richiamo ad intese e affari. Ma il binomio potere e affare, come si può facilmente dedurre ha un suono stonato, rimbalza all’illecito, che purtroppo nella politica calabrese è sempre dietro la porta.

Attilio Sabato  ci propone un’analisi disincantata della politica calabrese, prevalentemente a livello regionale, dagli anni ’90 ad oggi, ovvero da quel momento delicato in cui la Dc cerca una nuova identità nel Partito popolare, fino a quello che definisce il “Ritorno dei cosentini” dopo il governo Scopelliti. Dalla Democrazia cristiana alla “politica del kit” (quella che trasforma l’organizzazione dei partiti fondandola sul kit, casting e stage), alle diverse esperienze che si sono succedute alla guida della Regione.

 

«Ho vissuto la “rivoluzione” di Forza Italia, il ribaltone di Meduri, la sorpresa Chiaravalloti, il mestieri di Loiero, l’ambizione di Scopelliti e la scommessa di Oliverio. Ho seguito l’Ulivo, il Polo, la Quercia, la Margherita, il Trifoglio, il Girasole, La Rosa nel Pugno, il Biancofiore, l’Udeur, l’Udc, il Ccd, il Pdl,Sel e Fratelli d’Italia, ma anche gli Ippocampi gli Asinelli i Gabbiani, i Delfini, i Cavalli Alati, i Girotondini,m il Popolo Viola, gli Arancioni. Anni di inquietudini e di forte incertezza politica, di improvvisi capovolgimenti di fronte, di scandali, promesse e fallimenti annunciati.

La Calabria ha sopportato, resistito, provato e riprovato senza mai rinunciare a sperare: un po’ a destra, un po’ a sinistra, nel segno della discontinuità assurta  a modello. In oltre trent’anni si è assistito a umori cangianti, prospettive cancellate, ambizioni sopite, sguardi miopi e orizzonti confusi.

Sono stato testimone della politica che ha inaugurato l’era dell’oralità medializzata che si è fatta strada con gli spot e propagata nei talk. Ho raccontato l’alba del nuovo giorno seguendo le titubanze di una classe politica impegnata nel difficile, doloroso e incompiuto processo di trasformazione». (p. 43)

 

 

Il taglio che ne consegue da questo approccio antropologico è ben determinato dalla lucida esposizione di fatti e racconti/testimonianze di protagonisti; come viene sintetizzato nel sottotitolo, il “backstage della politica calabrese”. Un’analisi che possiamo dire anche spietata, senza sconti che ritroviamo in alcune locuzioni: “avamposti del consenso organizzato” (p. 16 )- “resistenti incrostazioni di egemonia correntizia”. Il controllo del consenso da parte del partito di Misasi nell’organizzazione e distribuzione funzionale dei ruoli (struttura verticistica) che si concretizza nella costruzione di reti clientelari.

Come funziona la comunicazione tra i diversi livelli?

È esemplificativo un aneddoto (pp. 17-19) che evidenzia il nodo cardine della politica calabrese di quegli anni (e non solo), ovvero il mantenimento del consenso elettorale attraverso legami personali e piaceri. A quanto pare l’aneddoto, di cui è protagonista donna Assunta, è piuttosto noto. Le conclusioni della donna, che nel suo paese riusciva a mantenere un consenso elevato per Misasi, denotano quanto fosse importante il legame locale rispetto alle aspettative nazionali. “E chi è questo Prodi?” replica infatti al segretario di Misasi nell’attesa di essere ricevuta per prima; una risposta che la dice lunga sui rapporti verticistici all’interno del partito.

Il testo è la ricostruzione di fatti raccolti durante il lavoro quotidiano e difficile di cronista. L’originalità del racconto giornalistico può essere rintracciato nell’intreccio tra il racconto di vicende politiche in cui prevale “il tripudio – dice Enrico Caterini nella prefazione – dell’uomo machiavellico”  con il lavoro di recupero di quella cronaca, le tensioni per questo recupero della memoria affidata alla tecnologia, cassette rovinate a altre introvabili, il ricordo della rincorsa alla notizia e delle attese in anticamera per “stare sempre sulla notizia”. Aspetti che s’inseriscono nel testo come racconto e testimonianza. Ma la ricognizione faticosa ha un suo obiettivo, quello di risvegliare le coscienze affinché con un guizzo di civile autodeterminazione sappia scardinare il sistema soffocante della politica calabrese.

Nelle conclusioni un passo significativo:

 

«La debolezza strutturale e la crisi della funzione della politica hanno impedito, di fatto, il passaggio vero, tangibile e certo, dalla prima alla seconda Repubblica. Si fatica, infatti, ad individuare un punto di snodo visibile, una linea di demarcazione netta tra vecchi e nuovi modelli strutturali e organizzativi. La Calabria ha sofferto dell’incapacità gestionale delle sue classi dirigenti, quasi sempre ostaggio di una politica senza leader. Una regione non propulsiva che continua, ancora oggi, a mostrare i segni di un’endemica fragilità nelle sue articolazioni più significative. Il futuro, altrove, è già iniziato da un pezzo, ma a queste latitudini l’orizzonte appare confuso e indecifrabile, complice una politica sterile, appiattita, ferma prigioniera del passato e in cerca di una nuova identità».

 

 

 

Francesca Rennis