Persona persone povertà. Nel mondo globalizzato e confuso

Le riflessioni di Giuseppe Serio in unlibro edito da Pellegrini

Nei limiti imposti dalla globalizzazione possiamo ancora parlare di individui come “persona”, “persone”? E’ una contraddizione intrinseca ai tempi, una sfida o una speranza? Interrogativi che nascono dalla lettura del libro di Giuseppe Serio “Persona persone povertà in un mondo globalizzato e confuso”. Un testo nel quale si raccolgono sollecitazioni emergenti dai paesi del Terzo mondo, dove fame e miseria hanno la meglio ogni giorno, quotidianamente, su tante vite e che vengono rielaborate in una prospettiva critico-esistenziale in cui a venir problematizzata non è la persona umana quanto i contesti di spersonalizzazione legati a scelte di potere politico ed economico. La riflessione,data dal testo edito da Pellegrini, si espande su diversi temi in un’ottica dichiaratamente religiosa e cattolica.

In una società in cui predominano narcisismo, individualismo, consumismo e cupidigia, si registrano diversi tipi di povertà di cui quella economica è la più macroscopica ed apparente perché la più drammatica, legata alla fame nel mondo, espressione e conseguenza di povertà altre che a diversi livelli incidono sull’esistenza umana. Dalla malattia mentale ai fenomeni di devianza, le tante povertà narrano una crisi dell’umanità dovuta all’impatto del liberalismo economico con le sue gerarchie sociali, alla globalizzazione dei consumi, al presentarsi di problemi nuovi dovuti alla carenza di risorse alimentari ed idriche e alla mancanza di una politica internazionale capace di interagire a livello locale[1].

All’uomo moderno sfugge il controllo della realtà, ma non ad elite di potere che attraverso mezzi mediatici e metodi di facile persuasione agiscono sulle possibilità di scelta dalla sfera privata a quella sociale, politica, economica, religiosa. Temi che s’intrecciano se si guardano dal punto di vista di un “umanesimo integrale”, così come riproposto dalla dottrina sociale della Chiesa, chiave di lettura di questa proposta editoriale. Un punto di vista coerente, finanche scontato, con l’attività svolta da Giuseppe Serio in oltre trent’anni dalla istituzione del Centro studi e ricerche per lo sviluppo della cultura di pace “Fondazione Gianfrancesco Serio”. Un’attività che ha spaziato da iniziative di sensibilizzazione pedagogica a quelle per una cultura della pace, incessanti, continuative, e appunto coerenti con il suo percorso di vita tanto da fargli meritare due premi prestigiosi: il premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1988 e il premio internazionale per la Pace “J. Muhletheler” di Ginevra nel 1997.

 

 

Il testo è dunque la naturale conclusione di un percorso di studi maturato con attività pubblicistica, critica e divulgativa anche attraverso la fondazione della rivista internazionale di pedagogia “Qualeducazione” (1982) e del bollettino “Vivere la non violenza” e che ha subito l’influenza fertile di due importanti convegni, quello del ‘98 sul tema delle 4E (Europa Economia Etica Educazione, organizzato con studiosi come Antonio Pieretti, Luciano Corradini, Serenella Macchietti e quello organizzato dall’Aspei nel 2005 presso l’Università della Calabria dal titolo “Persona persone educazione”.

Impossibile non registrare, dunque, all’interno del testo la forte tensione interna tra valori laici e valori teologico-cristiani che contrassegna la ricerca accademica, anche se la propensione utopica che pure avvicina i due ambiti si colora di significati sempre più religiosi ed ecclesiali.

 

Se volessimo evidenziare gli atteggiamenti emotivi e, nello stesso tempo, razionali, dettati dalla lettura del testo possiamo sintetizzarli nella formula “indignazione etica e compassione”. Ce lo suggerisce, e lo condividiamo pienamente, chi ha curato l’introduzione, ovvero don Gianni Novello. Sono atteggiamenti di chi si distanzia dai cosiddetti “cultori della lagna”[2] per diventare invece operatore di pace nel senso pieno del termine. Impegno, sollecitudine, ricerca, testimonianza appartengono a questa categoria di persone che chiedono giustizia sociale.

Il linguaggio usato da Serio è quello del fare concreto in termini di solidarietà, ma è anche un linguaggio bagnato nella tradizione teologica cristiana che si fa forza dei riferimenti delle encicliche papali[3]. Il risultato nel ripercorrere le tesi papali è il tentativo di una fondazione escatologica dell’antropologia, un ambito nel quale trovano ampio spazio concetti di universalità filosofica ed esistenziale quali dignità della persona, uguaglianza dei diritti e rispetto delle diversità[4]. E mentre Maritain segnerà con il recupero del tomismo il passaggio ad un umanesimo antimoderno quale “ideale storico concreto”, con l’attenzione al volto di Levinas si compierà il passaggio da una ontologia ad un’etica fondata sull’Altro. L’Altro e l’etica della responsabilità diventano prioritari su qualsiasi ricerca oggettiva di verità. «Il luogo dell’Etica è il volto» ribadisce più volte Serio riportando le parole di Giovanni Paolo II. La carità, piuttosto, come agape (amore/amicizia riferito né al corpo né allo spirito ma alla persona, di tipo discendente) e quindi superamento sia dell’eros (amore mondano, possessivo, ascendente) che della philia (amicizia personale e particolare), assume un ruolo conoscitivo[5] ed è fondante, appunto, di quest’umanesimo integrale (derivato dalle encicliche) per cui l’uomo non basta a se stesso, ma si spezza, si fa pane per l’altro. I fondamenti epistemologici sono più forti, pregnanti, quando l’autore va a definire un’ecologia della pace in termini di ecologia umana ovvero sociale contro visioni riduttive dell’uomo (il richiamo all’enciclica Centesimus annus non è casuale)[6].

 

Potremmo ben dire dunque che la dimensione esistenziale fondata su basi etico-religiose tiene insieme quelle sociale-politica-economica. Un umanesimo “integrale” appunto, che diventa insistente nel momento in cui viene analizzato il legame esistenza-pace-giustizia dove predomina la massima “Tutti differenti, tutti uguali”. La pace ha fondamento nella giustizia e non può pertanto accomodarsi sugli allori del profitto che è, invece, una delle cause della povertà perché promuove le disuguaglianze e differenze di accesso ai beni pubblici.

E allora che senso dare alla povertà in tempi in cui la globalizzazione definisce i termini di distribuzione delle risorse? Che senso dare ai nuovi Epulone e Lazzaro? Come mantenere il volto umano di quelle persone che vivono ai margini in condizione di esclusi o di vittime? «Questo – ci ricorda con Riccardi - è un bel tempo per essere cristiani». E ancora: «Guai se i cristiani diventano silenti».

In definitiva, il processo di umanizzazione nell’acquisizione della libertà non può che collocarsi, seguendo una prospettiva interculturale, entro categorie di dialogo, condivisione, rispetto, giustizia, tolleranza. L’ottica confessionale che potrebbe sembrare riduttiva e inconcepibile in termini laici, s’interseca così con quest’ultima se l’uomo si pone di fronte a se stesso leggendo nell’altro se stesso. E in questo percorso si scopre nomade. L’uomo può scegliere, infatti, di chiudersi nella propria bella casa e godersela[7], scegliere l’isolamento, e lasciare fuori dalla porta il mondo e gli altri. Può scegliere di essere ingiusto ed egoista, accettare le regole del gioco barando, fare come Gige che, sfruttando il suo anello che lo rendeva invisibile, poteva godersi il mondo come uno spettacolo al quale si assiste senza rischi. Oppure uscire da questa dialettica solipsistica della coscienza instaurando la comunicazione etica del linguaggio, ma può farlo solo nel momento in cui l’altro appare come tale, ovvero si rivolge ad un altro da sé nella sua nudità e la “nudità” del volto significa indigenza e povertà per cui non posso fingere di non sentire l’appello etico che mi introduce in una relazione etica[8]. E questo appello etico per la teologia cattolica diventa rivelazione della trascendenza: il volto dell’uomo, pur nella sua vulnerabilità, povertà, nudità, manifesta il volto di Dio. «Andare verso Dio non vuol dire seguire i segni lasciati da Dio ma andare verso gli altri che sono nella traccia di Dio, nel solco della trascendenza. La traccia è la prossimità di Dio nel volto del mio prossimo»[9].

Ponendosi dalla prospettiva offerta da Levinas, vuol dire rivedere l’epistemologia pedagogica scoprendo i significati profondi dell’alterità ovvero impone la ricerca di nuovi significati delle condizioni di marginalità. Questo vuol dire una rivisitazione dei miti cattivi del nostro immaginario, un ripensamento del senso comune, una vera e propria lotta culturale al pregiudizio. Siamo dunque nell’ambito in cui non è possibile tralasciare i significati del vivere comune legati all’interculturalità; spingendosi in quella dimensione che valorizza la particolare originalità di ogni essere umano permettendo di assumere le differenze in modo responsabile. Serio segue questa prospettiva, l’assume con una sollecitudine particolare perché vuol dire per lui analizzare e agire in termini di trasformazione strutturale sanando quelle differenze che provocano sofferenza in termini di rapporti sociali deviati come la prepotenza e la schiavitù.

Da qui si comprende la critica alla globalizzazione come ambito spazio-temporale nel quale il profitto prende il posto dell’uomo, soggetto diventa la merce di consumo, la realtà personale soccombe all’apparenza dei sistemi di mercato[10].

 

Allora, riprendendo le domande iniziali, in un mondo globalizzato possiamo ancora parlare di uomo in termini di persona? E’ una contraddizione intrinseca, una sfida, una speranza?

Domande alle quali Serio risponde con convinzione facendo propri i valori della comunione/amicizia nel senso di condivisione e accettazione dell’altro, oltre quella che da Alessandro Dal Lago è stata definita la “tautologia della paura”, oltre pericolosi meccanismi di esclusione. Valori che, tradotti nell’orizzonte del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa, ribadiscono la centralità della persona umana nelle sue dimensioni e nelle sue caratteristiche di relazionalità e interdipendenza, ma anche, potremmo laicamente aggiungere seguendo i percorsi di fondazione epistemologica delle scienze sociali e pedagogiche di Michele Borrelli, i caratteri argomentativi/comunicativi a fondazione di un’etica universale che attraverso una rielaborazione critico-trascendentale in senso emancipativo e democratico incidano sui campi di forza tecno-economici e politico-istituzionali, trasformandoli.

 

Francesca Rennis

 

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Bibliografia

- Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari 1999

- Michele Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini Ed., Cosenza 2005

- Michele Borrelli, Difendiamo la democrazia, Pellegrini ed., Cosenza 2009

- Vittorio Cotesta, Società globale e diritti umani, Rubbettino Ed., Soveria Mannelli 2008

- Alessandro Dal Lago, Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999

- Antonio De Simone, L’ineffabile chiasmo. Configurazioni di reciprocità attraverso Simmel, Liguori Ed. Napoli 2007

- Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’occidente, Marsilio Venezia 2002

- Giovanni Paolo II, Sollecitudo rei socialis, ed. Paoline, Milano 19895

- Leone XIII, Rerum novarum, ed. Paoline, Milano 1994

- Emmanuel Levinas, Etica e infinito. Il volto dell'altro come alterità etica e traccia dell'infinito, Città Nuova, Roma 1984

- Jacques Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Roma 20028

- Paolo VI, Populorum progressio, ed. Paoline, Milano 1967

- Alain Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale, Il Saggiatore, Milano 2008

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[1] Per questi problemi rimando in particolare alla lettura di Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, … e testo università….

[2] pp.77-78

[3] A Deus caritas est di Benedetto XVI dedica un capitolo intero; altri riferimenti: la Populorum progressio di Paolo VI e la Sollecitudo rei socialis e Centesimus annus di Giovanni Paolo II

[4] Siamo nel pieno del pensiero esistenziale cristiano con Jacques Maritain, soprattutto de “Umanesimo integrale”, e con la rielaborazione dell’alterità in chiave epistemologica e pedagogica di Emmanuel Levinas

[5] p. 82

[6] Tra l’altro nello stesso capitolo II, pp. 49-50, dove approfondisce “Il valore universale della persona umana”, considera la pars destruens di uno sviluppo limitato al solo aspetto tecnico-economico.

[7] Qui mi sembra calzante recuperare una tipica metafora levinasiana

[8] Stefano Curci, La pedagogia del volto. Educare dopo Levinas, Emi Ed.,Bologna 2002, p. 49 e 44)

[9] Stefano Curci, op. cit., p. 87

[10] Della realtà degli immigrati in occidente ne ha presentato una precisa connotazione critica Alessandro Dal Lago in Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999