Per un pensiero ancora capace di emancipare l’uomo, la critica di Michele Borrelli al postmoderno

Il pensiero contemporaneo ha assunto una pluralità di toni e sfumature, accomunati, però, dal tentativo condiviso di superare la tradizione metafisica. Un “superamento” segnato inequivocabilmente dalla constatazione di una crisi della ragione ritenuta non solo incapace di risolvere i problemi dell’umanità, ma addirittura responsabile dei mali del mondo. Michele Borrelli, docente di Pedagogia Generale presso l’Università della Calabria (già docente nelle università tedesche di Francoforte, Giessen, Norinberga e Wuppertal), è un attento osservatore e critico delle filosofie postmoderne e della loro genesi. Le sue riflessioni sono state raccolte in diversi testi, ma quello pubblicato recentemente da Pellegrini, Postmodernità e fine della ragione, ha il pregio di essere immediatamente recepibile sia per la predisposizione dei paragrafi, sia per la chiara e profonda sinteticità. Un testo che si pone come punto di riferimento importante non solo per discutere il pensiero filosofico postmoderno, ma anche per analizzare e valutare la crisi profonda che caratterizza oggi la filosofia in generale. L’Autore respinge la demolizione metafisica avviata da Nietzsche e radicalizzata nel pensiero postmoderno. Introducendo al problema di questa demolizione, Borrelli non lascia dubbi sul suo obiettivo: “dimostrare l’impossibilità di portarsi fuori dall’ontologia metafisica”.

Come dimostra l’Autore, il pensiero postmoderno si è sviluppato nel dibattito contemporaneo dal confronto tra analitici e continentali a partire da Nietzsche, attraverso l’ermeneutica di Heidegger e Gadamer e le riflessioni sul linguaggio elaborate soprattutto da Wittgenstein. Nel ripercorrere le logiche interne che guidano le diverse espressioni filosofiche, Borrelli si confronta, da un lato, con le ermeneutiche di Heidegger e Gadamer e, dall’altro, con le eredità heideggeriane e gadameriane: Michel Foucault, Jean-Francoise Lyotard, Richard Rorty e Gianni Vattimo. All’analisi critica, decostruttiva, del pensiero di questi ultimi l’Autore dedica due capitoli, mentre nel primo capitolo si prendono in considerazione aspetti generali della crisi della filosofia, della scienza, della legittimazione, della ragione nonché i risultati della riflessione ermeneutico-linguistica. Il quarto e ultimo capitolo confronta il paradigma di fondo della filosofia “Post” con quello della filosofia critica abbracciata da Borrelli.

Peculiarità del testo è, tra l’altro, il fatto che esso si lega anche in modo significativo ad altri scritti recenti dell’Autore: Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana (Pellegrini, Cosenza, 3a ed. ampliata 2010) e Difendiamo la democrazia. Per una didattica di prevenzione dell’illegalità e della criminalità organizzata (Pellegrini, Cosenza, 2009). Questo legame non è casuale, piuttosto dovuto al fatto che l’orientamento filosofico di Borrelli, è determinato, da un lato, dall’approccio della Teoria Critica della Scuola di Francoforte, dall’altro dalle influenze di Kant e Marx, per cui siamo di fronte a quel legame teoria e prassi, riflessione e agire quotidiano che persegue lo scopo di rispondere all’interesse generale di emancipazione individuale e sociale. Un punto di vista quest’ultimo che si è andato arricchendo col lavoro scientifico e di cooperazione che da anni lega Borrelli al filosofo tedesco Karl-Otto Apel, il cui lavoro si è andato sempre più caratterizzando come ricerca di fondazione di un’etica del discorso in senso trascendental-pragmatico. Secondo Borrelli la ragione occidentale produce violenza, quella che si traduce spesso in situazioni di ingiustizia e soprusi sociali ma, paradossalmente da questa ragione stessa possono emergere capacità di trasformazione della realtà al fine di garantire lo sviluppo di una società in senso sempre più umano. Una capacità che non appartiene, spiega l’Autore, alle logiche del pensiero postmoderno; logiche incapaci di portarsi fuori dallo scetticismo radicale e dalla contingenza storica nuda e cruda e che rischiano di dogmatizzare proprio ciò che vogliono smantellare: il metafisico.

Nella postfazione, il filosofo e teologo cubano Raúl Fornet-Betancourt sintetizza, in modo chiaro e rigoroso, la critica al postmoderno di Borrelli: “E’ una prospettiva – scrive – che né misconosce né riduce la diversità che si dispiega all’interno del postmoderno filosofico ma che, nonostante ciò, mette in luce come a questa diversità sia intrinseca o vi sia alla sua base una ‘struttura di pensiero’ unitaria… Pensiamo, per esempio, ad alcuni tratti analitici di fondo come scetticismo, relativismo, contestualismo, ‘estetizzazione’ della vita, decostruzione delle tradizioni umanistiche, assolutizzazione del linguaggio, ‘flessibilizzazione’ delle identità, riduzione distruttiva della metafisica o anti-razionalismo”. Seguendo questa logica di demolizione del metafisico ci chiediamo con l’Autore se esista ancora un soggetto nel senso moderno del termine. Per Borrelli non ci sono dubb: “La demolizione del metafisico liquida soggetto e libertà (il soggetto-libertà). Consegna il soggetto alla reificazione dell’oggetto, alla reificazione della metafisica o alla metafisica della reificazione, alla contro ragione o alla ragione reificata, de facto al sapere, o meglio al volere, al potere, o meglio al dominio della ragione egemone, al dominio dell’egemonia, all’egemonia del dominio”. E si potrebbe ancora aggiungere: “dopo filosofia è dominio della “fatticità”, egemonia della dissoluzione … Nel dopo-filosofia, il pensiero negato è il pensiero critico, il fermento che non si piega al dominio della res”. Concludendo e citando nuovamente l’Autore si può dire: “Il tramonto del metafisico si trasforma in prender congedo dal soggetto. È la sconfitta autoprocurata di una ragione che, autoliquidando ogni suo elemento normativo-trascendentale, liberandosi, cioè, dei suoi momenti definitori come la dialettica e la critica, dubbio e scepsi nei confronti di se stessa, non si accorge di essere ormai riflesso cieco di un dubitare dogmatizzato, di uno scetticismo an sich, di una ragione che fa fatica a ragionare. Il dopo-filosofia è la paradossalità di una ragione che ha messo se stessa da parte: è in definitiva, la fine della ragione”.

 

Francesca Rennis