Oltre Ruby, abbiamo altri modelli di femminilità

Insoddisfazione, un senso di disgusto e di irrequietezza, circolano tra le donne di Facebook. Sentimenti, nati dal continuo chiacchiericcio sulle vicende “ormonali” del premier e che richiamano ad una rivalsa tutta al femminile. Alla frustrazione sul modo in cui certi cliché, che riducono la donna ad oggetto di piacere, riescono ancora ad emergere si sostituiscono iniziative forse di poca visibilità e incidenza, ma che molto hanno a che fare con l’autostima e desideri di libertà.

Così, in questo periodo, parliamo di gennaio 2011, quando le vicende di Ruby & C. riempiono la cronaca nazionale e finanche internazionale, le amazzoni del social network non solo si scambiano messaggi di solidarietà, ma con quel sistema “casalingo” del passa parola cambiano la propria immagine con quella di donne che si sono sapute distinguere con contributi rilevanti per lo sviluppo dell’umanità. Il messaggio standard che si scambiano, che ci siamo scambiate in quanto ho aderito anch’io con sollecitudine ed entusiasmo, è il seguente: «In un periodo in cui la stampa, voyeristica e morbosa, sembra attribuire alle donne come unica professione "il lavoro più antico del mondo"; riscopriamo le grandi donne del passato, per permettere a quelle del presente di avere modelli diversi di identificazione... Scegli una grande donna della storia e usane la foto nel tuo profilo». E così siamo diventate scienziate dello spessore di Rita Levi Montalcini, artiste come Frida Kahlo, poetesse come Alda Merini, filosofe come Maria Zambrano, rivoluzionarie come Eleonora de Fonseca Pimentel. Ma anche donne semplici che hanno arricchito le nostre esperienze e le nostre storie e che, comunque, non sono diventate famose. Altre identità per dire la fatica nel guadagnarsi il rispetto che non è oro colato e che pure dovrebbe coinvolgerci se non per il semplice fatto di essere persone umane. Sembra che la mentalità comune voglia di nuovo imbrigliare la donna a stereotipi che la relegano a ruoli secondari, di supporto, di gratificazione maschile. Insomma, ancora a costola come da tradizione biblica. Purtroppo non si registrano azioni incisive di propulsione al cambiamento anche perché la donna, l’occupazione femminile e la violenza che quotidianamente e a diversi livelli la donna continua a subire, sono posti ai margini della vita sociale, economica e politica. L’iniziativa su Facebook è solo un segnale, attiene alla sfera della comunicazione personale e, da sola, non riuscirà a smuovere di un passo il Golia di un settore pubblico sempre più spesso ammantato dalle spire della confusione etica.

 

Francesca Rennis

30 gennaio 2011