Oltre il nichilismo, oltre il bullismo

Episodi eclatanti, spettacolarizzati dall’onda mediatica dovrebbero invece trovare una mediazione diversa, essere compresi, contestualizzati in modo diverso rispetto alla semplice notizia di cronaca. Gli effetti di emulazione a tanto clamore sono scontati. E così, gli ultimi fatti relativi al cyberbullismo e bullismo scolastico, che hanno finanche indotto al suicidio le vittime designate dal branco, reclamano solo una fugace attenzione senza lasciare spazio a riflessioni ulteriori.

 

Fatti eclatanti, spettacolarizzati, appunto, che rappresentano la punta di un iceberg, di un sommerso che esprime disagio giovanile, ma anche la diffusa incomprensione di un’emotività carica e sovraccitata come quella giovanile. E’ più facile registrare pregiudizi, ferma condanna, che tentativi di comprensione di un fenomeno che racconta ed esprime vissuti di disagio individuale tanto esteso da assumere i contorni di una disfunzionalità sociale, culturale. Un malessere sociale e forme di disagio relazionale, quelli espressi negli atti di bullismo, che si evolve con l’età stessa, cambia forma ma si ripete con l’età adulta e le ritroviamo in forme di prevaricazione sociali, familiari, lavorative. Basti pensare a tratti comuni con il mobbing sia nelle modalità relazionali, organizzative del gruppo/branco, sia ai ruoli assunti dagli attori (bullo/mobber, vittima, gregari, spettatori), nelle modalità d’azione che va dall’intimidazione all’esclusione alla calunnia al supporto dei gregari alla mancanza d’empatia verso al vittima, ad una mancanza di etica nel gruppo, al ruolo del gruppo i cui interessi s’identificano in modo acritico con quelli del capo.

 

Per interrompere le dinamiche disfunzionali nel gruppo occorre innanzitutto uscire dal silenzio, dall’omertà nel quale la vittima rimane imprigionata. In un testo famoso, come L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani (Feltrinelli, 2008), Umberto Galimberti evidenziava le radici culturali, non esistenziali, del disagio giovanile, impoverito da analfabetismo emotivo che si esprime nell’annientamento della vita propria o altrui. Paradossalmente, provocando sofferenza il bullismo lancia il grido disperato delle giovani generazioni a quelle adulte. Occorre saper ascoltare questo grido nella sua profondità. E’ un grido che reclama presenza ontologica, il superamento del nichilismo nella riscoperta di una simbolica giovanile, oltre vuote retoriche.

 

Ma se pure si comprende il male. Difficile trovare soluzioni. Lo stesso Galimberti ammette la fragilità degli strumenti culturali offerti dalla tradizione. La “filosofia di Penelope” ovvero l’etica del viandante, nel senso di vita come sperimentazione sembra proporre alcune soluzioni che tengono conto della caduta nichilista restituendo comunque un senso alla realtà. «Il nomadismo – mi sento di dire con Galimberti – è la delusione dei forti che rifiuta il gioco fittizio delle illusioni evocate come sfondo protettivo. È la capacità di disertare le prospettiva escatologiche per abitare il mondo nella casualità della sua innocenza, non pregiudicata da alcuna anticipazione di senso, dove è l’accadimento stesso, l’accadimento non inscritto nelle prospettive del senso finale, della meta o del progetto, a porgere il suo senso provvisorio e perituro» (pp. 143-144).

 

Francesca Rennis