La disfasia: alcuni aspetti e problemi

La disfasia rientra nei disturbi specifici del linguaggio. Si manifesta in assenza di deficit percettivi e di danni neurologici. Non coinvolge la sfera cognitiva e affettiva, ma ne limita lo sviluppo in quanto disordine grave e persistente dello sviluppo linguistico.

Nella seguente lettera inviata alla redazione del sito internet http://www.educare.it.htm mi sembra ci siano tutti i presupposti per esaminare una patologia del linguaggio come la disfasia con le relative sfaccettature relazionali e socio-affettive.

Gentile Redazione,
sono la mamma di un bambino di quasi nove anni, al quale, l'anno scorso, è stata diagnosticata dal prof. *** neuropsichiatra, direttore della cattedra di neuropsichiatria infantile dell'università di ***, una disfasia infantile. Perché così tardi, in realtà il bambino è stato visto da altri neuropsichiatri, i quali non mi hanno convinto e tra sedute di logopedia e altre attività (ippoterapia, psicomotricità ed altre terapie riabilitative) finalmente credo avere avuto la giusta diagnosi, in quanto il bambino, oltre a essere stato fino all'età di 5 anni senza vedere in modo chiaro in quanto è un miope e non ci eravamo accorti prima di questa grande mancanza di vista (5 diottrie per occhio) aveva un linguaggio molto povero di parole, per lo più emetteva l'ultima parte della parola, ha cominciato a parlare quasi a 5 anni facendosi comunque capire con linguaggi alternativi. Ora nelle sue frasi mancano gli articoli, le preposizioni, i tempi composti dei verbi e in certe situazioni è come se non ricordasse la parola che gli serve ed usa sinonimi o contrari. E' un bambino ora molto aperto e gioviale, ama la compagnia, il divertimento ma lo intimoriscono tutte le novità:salire su una giostra nuova oppure recarsi in un posto che non conosce. A scuola ha un buonissimo rapporto con i compagni e con le insegnanti le quali sono state la mia salvezza, in quanto a casa il bambino rifiutava di fare i compiti, ora che i progressi ci sono stati, infatti comincia a leggere e a scrivere le parole quasi autonomamente si rende più disponibile. questa situazione mi ha reso molto ansiosa nei suoi confronti e mostro per lui molta preoccupazione e superprotezione (lo so che sbaglio ma cerco in tutti i modi di controllarmi ma difficilmente ci riesco).

Dalla testimonianza possiamo rilevare:

 

1. la difficoltà di diagnosi;

2. la sintomatologia nelle articolazioni delle parole;

3. la disarmonia tra prestazioni linguistiche e organizzazione del pensiero;

4. la buona competenza sociale;

5. la reazione ansiosa della madre.

 

1. Le difficoltà di diagnosi dipendono spesso da un atteggiamento di sottovalutazione e di malinteso sulla natura del problema, forse, per la convinzione dominante che, una volta verificata l’assenza di manifestazioni di natura organica (“non hanno niente”), si può assumere un atteggiamento rassicurante e di attesa che lo sviluppo del bambino superi le sue difficoltà. Si sottovaluta cioè che la disfasia è una condizione patologica che ha sue origini e un suo corso. La prescrizione degli interventi opportuni dovrebbe invece essere tempestiva sulla base di una corretta diagnosi, considerando l’enorme plasticità che caratterizza il periodo dell'età evolutiva.

La terapia deve essere verificata costantemente rispetto ai problemi che il bambino presenta per prevenire il rischio di ritrovare in epoca successiva un bambino con problemi di apprendimento con tutte le conseguenze di frustrazione che ne possono derivare.

La terapia logopedica affronta il versante della comprensione e quello prassico, espressivo e, appena possibile, quello grafico e della lettura.

 

2. Il bambino disfasico presenta un deficit linguistico di varia entità. Il linguaggio viene compromesso nella formulazione, nell'espressione, nella comprensione, nella lettura e nella scrittura. La disfasia è un disturbo dei meccanismi di elaborazione del sistema linguistico, nei diversi livelli in cui questo si struttura, fonologia, sintassi, semantica, pragmatica. Livelli che possono essere compromessi in modo diverso per ciascun bambino disfasico.

Lo sviluppo presenta un grave ritardo nell’emergenza di tutte le tappe linguistiche: in molti bambini dopo la comparsa delle prime parole (talvolta in epoca regolare) si osserva un lungo intervallo temporale prima che si verifichi un significativo incremento del repertorio lessicale. Il linguaggio rimane a livello di parole singole talora fino a 3 anni e mezzo - 4 anni. Le prime espressioni di due e più parole compaiono in genere intorno a quest’età (o anche più tardivamente) e mantengono caratteristiche telegrafiche: enunciati brevi, sintatticamente rudimentali, scarso uso dei verbi, frequente omissione di elementi grammaticali (articoli, preposizioni, ausiliari) uso ristretto della morfologia flessionale, numero limitato di frasi complesse per lo più di tipo giustapposto. Le medesime difficoltà si evidenziano anche in compiti di ripetizione.

La comprensione grammaticale è deficitaria in quasi tutti i soggetti, mentre la comprensione dialogica è in genere adeguata nelle interazioni spontanee.

I deficit lessicali permangono, talvolta nella forma di anomie (difficoltà di ritrovamento delle parole, difficoltà anche molto gravi che si rendono soprattutto evidenti nel contesto conversazioni o in situazioni in cui è richiesta la selezione di uno specifico item lessicale), con parafasie semantiche (sostituzioni di un termine con un altro a livello semantico appartenente alla stessa categoria semantica, es.: pecora invece di capra, o fonologico, es.: coltello invece di martello), con circonlocuzioni: “E’ una parte di” oppure giri di parole, definizioni d’uso “serve per”, o modi di intercalare: “uhm, e poi, mmm”, e parole non specifiche: “roba, cosa”, con parafasie fonemiche, cioè distorsioni della forma delle parole per difficoltà a fissare in memoria o a recuperare la traccia fonologica corretta..

I deficit linguistici sembrano l’espressione di un disturbo centrale nell’organizzazione del linguaggio a prognosi spesso sfavorevole, sia per la persistenza di residue difficoltà nel linguaggio orale sia per la frequenza di turbe secondarie nell’apprendimento del linguaggio scritto. In tutti i bambini disfasici, infatti, le acquisizioni strumentali risultano deficitarie anche nei casi in cui si osserva un discreto recupero delle capacità verbali.

Possono essere distinti due sottogruppi: Disturbo di tipo fonologico–morfosintattico e Disturbo di tipo lessicale–sintattico.

Le competenze lessicali risultano particolarmente deficitarie nella disfasia lessicale sintattica: tutti i bambini appartenenti a questo gruppo presentano un pattern di errori peculiare con elevata percentuale di anomie, parafasie semantiche, circonlocuzioni, parafasie fonemiche. Il disordine lessicale è evidente sia nella produzione spontanea sia in compiti strutturati e tende ad accentuarsi in ripetizione come conseguenza non solo di difficoltà di accesso lessicale ma, specie in alcuni bambini, di una compromissione selettiva della memoria di lavoro. Le difficoltà sintattiche presentano gradi diversi di gravità, ma che raramente assumono i caratteri di atipia e persistenza, specifici della disfasia fonologico–sintattica, per la quale è invece maggiormente compromessa l’organizzazione fonologica.

 

3. L’organizzazione del pensiero non è altrettanto compromessa. I bambini con disfasia possono elaborare con successo tutta una serie di operazioni mentali; sono comunque limitati nel numero di operazioni che possono eseguire contemporaneamente. Presentano problemi a livello di ritenzione mnestica e labilità attentiva.

 

4. Quali caratteristiche comportamentali i bambini disfasici possono presentare alcune caratteristiche particolari. Possono essere meticolosi, rigidi, perseveranti. Hanno una spiccata tendenza verso il concertismo, male accettano e riescono ad immaginare se stessi in situazioni inconsuete; inoltre presentano continui cambiamenti d'umore. Il linguaggio espressivo, nei casi più gravi è assente, nelle situazioni meno compromesse l'articolazione alterata e la frase è assente o mal strutturata.

 

5. Se l’espressività della dislessia è diversa per ciascun bambino, le conseguenze sul piano psicologico e relazionale sono spesso simili anche se spesso non correttamente interpretate. Le difficoltà di interpretazione dei messaggi che gli vengono rivolti e la frustrazione per l’insuccesso comunicativo dei tentativi di produzione si ripercuotono inevitabilmente sullo sviluppo psicologico. In genere il bambino ricerca continuamente la mediazione dell’adulto di riferimento, talvolta unica relazione in cui il bambino sperimenta un successo comunicativo. Spesso questo adulto è la madre e la condizione di stretto legame che si instaura con il bambino viene interpretata come disturbo primitivo della relazione mentre spesso è l’unica reazione possibile al disagio comunicativo.

 

 

Intervento educativo

 

L’intervento educativo deve fare in modo che il bambino possa trovare strategie di compenso per sfruttare al massimo le sue possibilità (ad es. sostituendo le parole che da un punto di vista articolatorio o percettivo risultano più difficili). I genitori, insieme al logopedista e ad altri operatori educativi dovrebbero mettere a punto un progetto comune nel senso e nelle linee generali, e specifico, di riabilitazione per la dimensione fonologica e sintattica, in relazione all’età del bambino, e di rieducazione per tutte le altre dimensioni coinvolte.

E’ opportuno tenere presente che spesso il bambino non è in grado di riconoscere la differenza tra la sua produzione e la forma corretta. Pertanto bisogna far leva sugli aspetti dell’area socio-relazionale per sviluppare linguaggi alternativi e proporre esercizi che evitino la frustrazione che potrebbe derivare dalla insistenza sulla ripetizione di parole. Mentre ciò è affidato alla terapia logopedia l’intervento educativo deve far leva sullo sviluppo della creatività del bambino e sul miglioramento delle capacità attentive. In particolare bisogna aiutare i processi di decodificazione parlando molto e con lentezza al bambino senza cadere nella vuota formalità. Parlare per raccontare, per spiegare, per ascoltare, per chiedere.

Per quanto riguarda la scrittura, è importante aiutare il bambino a fare l’analisi dei suoni presenti nella parola che deve scrivere, nei modi adeguati al tipo di difficoltà del bambino. Nella lettura, invece,va aiutato a fare la sintesi progressiva delle lettere che legge, per comporre la parola.

Si deve fare attenzione a non proporre attività mirate alla correttezza della lettura più che alla comprensione perchè la lettura diventi un’esperienza significativa e appagante. I contenuti del lavoro scolastico vanno progettati in modo che il bambino possa conoscere il mondo con interesse e curiosità, nonostante il disturbo.

 

Francesca Rennis

 

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Bibliografia

 

AA.VV., Psicologia, Bologna, Il Mulino, 1984

AA,VV., Psicologia sociale e dello sviluppo, Milano, F. Angeli, 1995