"Intervento a rete", un monito più che un'impostazione nel libro di G. Bencivinni e L. Conte

Superati i modelli verticistici la rete, metafora di sinergie, diventa l’ambito entro il quale viene ricostruito il dialogo per superare emarginazioni e isolamenti. Il modello a rete, pertanto, raccoglie nelle sue maglie il reale, vissuto e percepito attraverso le diverse prospettive presenti nel testo. Su questo orizzonte si staglia la realtà presentata nel libro “Intervento a rete”, pensato all’interno di un progetto scolastico dei licei di Cetraro che cattura i punti di vista di insegnanti, studenti e culture non occidentali.

Per un confronto? Non solo, perché l’idea di fondo, come si legge tra le righe e come si deduce dal titolo stesso, è di tipo operativo. Un’idea che oltretutto viene confermata dal gemellaggio dell’istituto scolastico con la scuola di Muyinga nel Burundi. Un intento operativo di integrazione concreta, il cui primo passo essenziale è la consapevolezza della complessità sociale, motore di uno sviluppo socio-economico che è stato definito “strabico”, ovvero con lo sguardo rivolto contemporaneamente al locale e al globale. A cominciare dalle lezioni di Luhmann abbiamo appreso che solo uno schema mentale configurato “a rete” può cogliere questa complessità, altrimenti percepita solo come una inutile accozzaglia di oggetti sparsi.

Esiste dunque una logica nella realtà contemporanea soggetta al fenomeno della globalizzazione, che la mente umana con i suoi molteplici risvolti socio-culturali deve comprendere per controllare in modo opportuno. Opportuno e critico, naturalmente. Perché l’uomo rimanga soggetto della propria azione, nonostante sacche di disagio sociale denuncino mancanza di autonomia. Le persone sempre più ridotte a semplici individui sembrano “agiti”, o meglio fagocitati da un sistema controllato dall’economia liberista e dal web.

Questi sfondi delineati in sintesi sono a fondamento del libro di Gaetano Bencivinni, Luciano Conte, Adele Iaria e Franca Muglia, edito da Periferia con una chiara prefazione di Donatella Laudadio, assessore alla cultura dell’Amministrazione provinciale di Cosenza, ed una altrettanto esplicita introduzione del dirigente scolastico Luciano Conte. I contributi sono raccolti in tre sezioni distinte: “La rete spezzata” a cura di Adele Iaria, “La pace come terapia dei mali del mondo a cura di Franca Muglia, “L’ubuntu come terapia sociale del Burundi” a cura di Gaetano Bencivinni.

Nella prima vengono evidenziate situazioni di malessere sociale come il carcere e il disagio giovanile. Nella seconda si propongono riflessioni sulla pace con interventi anche di Domenico Rosati e di don Mimmo Bruzzese a testimoniare che il percorso intrapreso è motivato dalla speranza e dalla possibilità di cambiare il corso di eventi drammatici per l’umanità. Nella terza parte si propone la filosofia “ubuntu” quale termine di confronto con il pensiero occidentale diretto al dominio dell’uomo sull’uomo e sulla stessa natura. Alla autoreferenzialità e alla condizione tutta tecnologica viene contrapposta la misura dell’”ubuntu” perché «là dove non c’è l’ubuntu regnerà la conflittualità, l’odio, l’ingiustizia, l’avarizia, il rifiuto degli altri, la violenza». Il confronto apre dunque spazi ancora inesplorati in cui la filosofia si definisce sempre più come filosofia interculturale. Dimensioni in cui l’uomo ha un volto, e perciò il suo essere è iscritto nell’ambito della dignità e del rispetto.

Significativa la collocazione e il nome dell’appendice alla terza parte. Il titolo “Frammenti sparsi” rivela infatti la necessità di catturare nella rete ciò che “traboccava” dalle sezioni. Una strategia “tecnica” di approfondimento per porre l’accento sulle problematiche raccolte in modo più sistematico nelle tre parti.

Le ipotesi avanzate dal testo verso la tolleranza e la condivisione hanno ricevuto anche il contributo riflessivo degli studenti che hanno partecipato del progetto. Tra i meandri dell’incertezza, tra saperi antagonisti che ripropongono sotto mentite spoglie ideali di misticismo o di conformismo i giovani, che pure provengono da un territorio a rischio, cercano il confronto oltre la prorompente impulsività dell’età, usando strumenti assertivi, ponendo domande in modo esplicito e talvolta finanche con toni incalzanti, ma sempre su basi logiche. Ne emergono prorompenti le difficoltà che sfociano talvolta nel disincanto, altre nella rabbia, nella conflittualità e nella solitudine. Sentimenti che pur rilevando una povertà culturale, dimostrano dopotutto che la nietzschiana “morte di Dio” non ha nullificato la ricerca di senso della propria esistenza.

 

Francesca Rennis