l "vaffa" legalizzato e la giungla delle volgarità, un passo in più verso l'illecito

Quando a far volare i “mingh…” erano Ciccio e Franco, le risate non potevano contenersi. Le parolacce nel cinema hanno fatto storia in film “cult” come “Serpico” e “C’era una volta in America”. Erano contestuali, sottolineavano un effetto scenico restituendo il senso della vicenda e le povertà di un’epoca. Tra brillantina e volgarità ci sapeva fare anche John Travolta in “Grease”. I film anni ’80 grondavano di epiteti che oggi vengono ridotti ai minimi termini probabilmente per non essere censurati. La parolaccia per lo più lasciata ai bassifondi cittadini e ad un utilizzo snob dei quartieri alti, veniva stigmatizzata dalla classe media riconoscibile nella borghesia perbenista. Nell’epoca post fordista, invece, le parolacce si riducono nella finzione scenica mentre abbondano nella vita di tutti i giorni andando di pari passo con la trasgressione dalle regole e l’illegalità.

L’epoca del bon ton e delle buone maniere è pressoché sparita dalla routine quotidiana, la cortesia un cimelio da museo o un optional troppo caro per rimanere in dotazione. Ne rimangono tracce in opuscoli e libelli. La normalità è ben altro. E così anche la Corte di Cassazione si adegua. Fa ancora discutere la sentenza di metà luglio che assolve il “vaffa…”. L’espressione secondo la Suprema Corte ha perso la sua carica ingiuriosa. E’ diventata ormai “inflazionata”. Queste le motivazioni della V Sezione penale che si è pronunciata creando un precedente discutibile soprattutto perché il fatto si è consumato in sede istituzionale. Un consigliere comunale di Giulianova, Vincenzo B., aveva lanciato un sonoro “vaffa” all’assessore e vicesindaco Domenico D. C. durante la seduta del Consiglio comunale del 23 novembre 1999. Condannato per ingiuria dalla Corte d’Appello de L’Aquila il “virtuoso” consigliere veniva invece assolto con formula piena in sede di Cassazione “perché il fatto non sussiste” (notizia Adnkronos del 17 luglio 2007).

Il “vaffa” non è più un offesa soprattutto se a farla è chi siede tra gli scranni delle massime assise cittadine, laddove invece si costruiscono per antonomasia modelli educativi e comunicativi.

Se un consigliere più mandare a qual paese un altro rappresentante della volontà popolare, perché non dovrebbero farlo i giovani? E come riprendere a scuola uno studente che riesce ad esprimere le sue intolleranze verso gli insegnanti con tanta accesa verbalità?

Dalle parolacce all’illegalità il passo si fa sempre più breve a testimoniare, se ancora ce ne fosse bisogno, che crisi è il sistema dei rapporti umani e dei valori che li orientano.

Un giornale come il “New York Magazine” ha reagito ad un dato sociologico come l’aumento della maleducazione nelle strade metropolitane con un manuale, una guida all’etichetta urbana per farsi strada tra la giungla di villani e volgarità d’avanguardia. L’ipotesi di fondo è che la tecnologia e le comodità messe a disposizione dal decantato progresso hanno di fatto riprodotto un’involuzione della specie umana. Più che semplificare la vita hanno modificato la convivenza e il senso di civiltà, mentre i cittadini sguazzano nel torbido sonno dell’incoscienza.

Se il limite tra trasgressione e illegalità si fa sempre più incerto e non sono ammissibili moralismi dell’ultima ora diventa immediato, invece, richiamare al pensiero autonomo e allo sviluppo di una coscienza critica. Quella alla base della formazione dell’uomo e del cittadino. Ma forse lo abbiamo dimenticato.

 

Francesca Rennis