Il nomadismo di Franco Paletta

La realtà di Franco Paletta prende forma movendosi tra gli spazi segnati tra un’opera e l’altra. Un itinerario che ripropone il suo girovagare alla ricerca di un’identità mai uguale a se stessa così come l’irrequietezza della società contemporanea persa nei labirinti delle molteplici verità. Mi riferisco alla mostrra allestita alcuni anni fa (28 gennaio 2004) al secondo piano dell’antico Palazzo del Trono a Cetraro (CS) e alla quale ha dato il suo autorevole contributo il critico d'arte Giorgio Di Genova. Dedicata al “nomadismo” la mostra ha raccolto le opere che in modo più congeniale rappresentano questa ricerca di espressione del sé iniziata nel 1969. Ed è la forma più che i toni e le immagini a subirne le continue trasformazioni: da lineare e pura rappresentazione ad un amalgamo di cartoni ripiegati su se stessi come nella “Composizione” del 1989 e la serie di “Sovrapposizioni”, a contorni sfumati quasi come per lenire il vuoto circostante. E’ proprio in quel vuoto sottointeso, così drammatico tra un’oasi e l’altra, che emerge dirompente tutta l’inquietudine del suo peregrinare senza una meta ben definita. Paletta ama definirsi per questi motivi «figlio del suo tempo» anche se il tentativo di superare la soglia del relativismo postmoderno è un inseparabile compagno di cammino. Nel raccogliere le diverse sfaccettature della realtà che assorbe in un gioco di rimbalzo tra la regola e l’emozione si congeda così dai canoni della bellezza tradizionale per aprire nuovi spazi nella concettualità. Ma sono spazi di breve ristoro perché in un nomadismo senza mete definitive la plasticità della forma nelle sue variabili conserva un elemento unificatore nella critica al consumismo globale, evidente nelle dissonanze ripetitive delle “Chine”, nei tagli delle “Fessure” che si acuiscono fino a stridere nelle “Fessure stratificate” e nei toni metallici delle “Icone tecnologiche”, nelle “Espansioni” e nelle “Installazioni”. Il linguaggio di Paletta interpella l’osservatore rompendo gli argini tra il sé e l’altro. Uno specchio di riflessioni sul destino dell’umanità incatenato ai progressi della tecnica e della comunicazione mediatica, prefigurando “altrove” un approdo mai raggiungibile.

 

Francesca Rennis

 

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