Ideologia gender, il "déjà vu" che la Chiesa dovrebbe trasformare

Articolo pubblicato su Il Casinista

In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Gv 12, 24-25

 

Una manciata di ideologici cattolici ha architettato l’esistenza di un’ideologia per opporvisi con fermezza inseguendo dinamiche già viste e riviste. Come credente praticante avrei desiderato che la Chiesa mettesse in atto la sua saggezza profetica anziché richiamare i fedeli ad una dogmatica che neanche lontanamente parla la lingua cattolica e cristiana. Possibile che la Chiesa del Duemila non riesca ad elaborare alternative metodologiche e comunicative diverse da quelle vissute nel Medioevo o nel periodo nazi-fascista per poter affermare i propri principi e valori? Sì, perché il riferimento ad un complotto contro la famiglia cristiana e l’indicazione di un colpevole (George Soros) e di lobby orientate a distruggere la famiglia cristiana fanno parte di una fenomenologia ben nota su cui si è costruita non solo la discriminazione nei confronti di donne riconosciute come streghe e quella antisemita, ma anche le rispettive persecuzioni. La nostra civiltà cattolica ha davvero bisogno di certi stratagemmi, come quello di creare il nemico esterno, per poter vivere? E la Chiesa ha bisogno di questo tipo di proselitismo per poter sopravvivere alla complessità sociale? Possibile che ci sia bisogno, da parte della Chiesa, di creare il nemico esterno per orientare alla coesione e al consenso sociale?

 

Il discorso sull’opposizione ad una “fantomatica” ideologia gender è piuttosto complesso e articolato. In questa sede prenderò in esame, anche se in modo non esaustivo, le dinamiche del mondo cattolico e della gerarchia ecclesiale in relazione a fatti già riscontrati nella storia occidentale e, soprattutto, europea.

Una tale ricognizione è dovuta ad atteggiamenti e comportamenti messi in atto da chi ha abbracciato questo “credo” come se fosse “la” dottrina della Chiesa; “credo” che invece non ha nulla a che fare con la dottrina ecclesiale né con il cattolicesimo, se non in quegli aspetti bui che ne hanno permeato la storia.

 

Negli incontri, camuffati da “pastorale famigliare”, subentra sempre la critica alla suddetta “ideologia”. I proseliti, in un clima incandescente, si scagliano contro coloro che oppongono dubbi e perplessità come se fossero eretici e dissacratori, anzi come se quest’ultimi fossero coloro che lasciano la strada aperta a satana in persona. Tale atteggiamento, se appartiene al linguaggio della santa Inquisizione non appartiene invece alla religione cristiana, nata dal sangue di Cristo e dono dello Spirito Santo. Il Catechismo della Chiesa cattolica difende la famiglia cristiana, ma le modalità di difesa sono “pastorali” e formative; non hanno niente a che fare con fantomatiche guerre di religione, tanto più che nello stesso Compendio della Dottrina sociale della Chiesa viene dedicato alla “teoria gender” lo spazio di poche righe . Il mio dissenso e le distanze che ho preso fin da subito da una tale impostazione riguardano proprio la ripresa di metodi retrogradi e di concezioni fondamentaliste che richiamano alla memoria la “caccia alle streghe” o all’”ebreo” in quanto diverso, le stesse modalità comunicative con le quali veniva costruita socialmente la figura della strega o  dell’”ebreo”.

Chi sente la propria appartenenza alla Chiesa in modo convinto non può che avvertire, di fronte a certi sproloqui, un senso di profonda delusione e frustrazione, nonché di solitudine perché i credenti assumono gli stessi comportamenti di una massa ben addestrata o tutt’al più indifferente alla questione che, comunque, viene fatta propria dalla destra italiana. Di fronte a questa forma di pensiero unico che presenta caratteristiche irreversibili, ma che si presta a strumentalizzazioni politiche, bisognerebbe invece prendere posizione in modo argomentato, chiedendo alla Chiesa, ancora una volta, di non avere paura di fronte alle nuove sfide. Chiedendo alla Chiesa di avvicinarsi alle persone senza timore di perdere il proprio peso istituzionale e di credibilità, avendo ben chiaro l’esempio di Cristo. Introiettando, come comunità cattolica, la parabola del chicco di grano e guardando a Cristo come maestro d’amore capace di oltrepassare barriere ed ostacoli. Che è la vera mission ecclesiale. Quante volte nella storia la Chiesa si è irrigidita di fronte alle nuove sfide del mondo? Ma poi quante volte è ritornata sui propri passi avendo come specchio il messaggio evangelico? Basta pensare alla fase della rivoluzione astronomica, all’opposizione verso lo Stato unitario italiano, alla Riforma luterana, alla teoria di Darwin e a quelle novità come il suffragio universale, la parità uomo-donna, l’istruzione obbligatoria statale, la libertà religiosa che sembravano vere e proprie iatture da cui difendersi anche in modo violento.

 

Ciò che vorrei dimostrare si riferisce a qualcosa di più di una semplice impressione. Sono infatti convinta che il focus “ideologia gender”, da un lato sposti l’attenzione dal vero problema che riguarda il rapporto della specie umana con la tecnica e l’economia di mercato ad un pseudoproblema che si affronta, come se da questo dipendesse la vita o la morte della stessa Chiesa, sollevando paure e timori sul cambiamento della struttura antropologica e creando una grande confusione oltre che un clima paranoico; dall’altro lato getta la Chiesa al di fuori della sua missione evangelizzatrice riportandola ad azioni di fondamentalismo anacronistiche e controproducenti per la fede stessa. Auspico, invece, una seria e approfondita riflessione da parte dei credenti sulla questione sollevata da un ristretto ambito cattolico in modo sprovveduto e incauto (ma che si sta allargando in modo spropositato di fronte alle richieste di adozione da parte di coppie gay), per non perdere di vista il senso della salvezza che ci viene da Colui che si è spezzato come pane per donarsi a tutti. Questione sollevata in modo sprovveduto e incauto perché nel nominare falsamente la teoria gender questi gruppi la riducono ad un parto del femminismo, dimenticando le diverse forme di femminismo e che anche Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae, n. 99, si è appellato, auspicandolo, ad un “nuovo femminismo”, ma anche perché ripropongono stereotipi maschilisti presentandoli come verità cristiana. Presentano, tra l’altro, un coacervo indifferenziato di temi/problemi non distinguendo le relazioni tra uomo e donna dall’educazione della prole e dalla presenza degli immigrati. La narrazione su questi temi si presenta in modo paranoico, attraverso paure e timori e seguendo argomentazioni capziose e stereotipate. Vengono così reificati quei caratteri capillari che si esprimono in forme di razzismo e xenofobia, misogenia e antisemitismo, transfobia. Tracciati che sono sotto la lente d’ingrandimento di studi sociologici e psicologici, quegli stessi che vengono accusati di “teoria gender” e che, se non ci fossero, avrebbero impedito la conoscenza di importanti orizzonti conoscitivi tesi al riconoscimento di diritti umani fondamentali.

Il senso della diversità, i pregiudizi e gli stereotipi (che non sono ideologia ma si toccano con mano tutti i giorni), a meno che non si voglia cancellare l’intero progresso conoscitivo sulle dinamiche psico-sociali dell’occidente, producono ingiustizie e malessere. Le persone vengono discriminate e quindi considerate in modo differente sulla base del sesso, etnia e religione o sulla base di altre  diversità. Le aspettative di vita sono quindi ancora regolate da meccanismi di potere che agiscono in modo inconscio sulle persone. La Chiesa dovrebbe affrontare la questione non semplificando - nel modo in cui di fatto agiscono gli stereotipi costruiti in questa comunicazione - e non sostenendo tali visioni riduttive, che per quanto sembrino semplificare e risolvere situazioni che non collimano con il nostro punto di vista, reificano certe strutture di diseguaglianza. Dovrebbe invece proporsi con atti di profondità profetica e coraggiosa (perché al di fuori di schemi preordinati e banali) prendendo le distanze da certe diatribe stile inquisizione e da una visione limitante, frustrante, elaborata da un manipolo di falsi credenti e assurta a filosofia predominante. Una visione che ripercorre vecchie strade, come quella di un’educazione che strumentalizza la crescita dei bambini, e si fonda su opposizioni concettuali cariche di livore che auspico vengano superate, trasformate. Questa è la strada che ci viene indicata dalla Resurrezione per vincere, ancora, la morte dell’uomo contemporaneo.

 

 

Francesca Rennis