Paulo Freire, dal contesto brasiliano il richiamo ad una pedagogia dell'autonomia

«L'uomo per sé è chiamato a realizzare la propria umanità;

non lo fa perché non riesce

a svincolarsi dalla “paura della libertà”».

(E. Fromm, Fuga dalla libertà, Comunità, Milano 1963)

Introduzione

 

Seppure il percorso teoretico di Paulo Freire sia stato segnato da un contesto storico-culturale ben preciso, quello brasiliano degli anni ’40-’60 contrassegnato, dall’oppressione delle popolazioni più povere e culminato con il colpo di Stato militare che lo obbligò all’esilio, può essere considerato, alla luce delle diverse forme di prevaricazione presenti nel mondo, di grande attualità. I motivi che giustificano questa ipotesi sono diversi:

1. la tensione costante tra teoria e prassi,

2. la funzione liberatrice dell’educazione che ha portato Freire a scontrarsi con le posizioni scontate della pedagogia classica,

la critica avanzata al postmoderno e all’ideologia neoliberista,

3. i fondamenti metodologici del rapporto insegnamento-apprendimento,

4. la ricerca di nuove metodologie didattiche,

5. la forte tensione etica che gli imponeva di mettere in primo piano la persona umana (etica della solidarietà).

 

Non a torto possiamo essere d’accordo con Henry Giroux[1] che lo ha definito un “attraversatore di confini”, per la promozione dell’atteggiamento critico nelle persone sopraffatte dal potere economico e politico volto a riscoprire le potenzialità individuali e culturali ridotte invece al silenzio.

 

Analizziamo per gradi le varie caratteristiche poc’anzi evidenziate.

 

1. Tensione tra teoria e prassi

 

Dopo l’esilio la sua concezione educativa assume una valenza sempre più politica che si esprime in netta polemica con il sistema reazionario su due fronti: quello di creare condizioni di vita “dignitose” alle persone che abitano le favelas e le bidonvilles e quello di pretendere il rispetto degli spazi educativi e del ruolo educativo dell’insegnante[2]. Pretese politiche che trovano un valido fondamento nella consapevolezza della reciprocità del rapporto apprendimento-insegnamento[3] e, soprattutto, nella concezione del legame tra teoria e prassi educativa. Secondo Freire è indispensabile che le parole siano accompagnate da uno sforzo del pensare corretto che impone «di ridurre la distanza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo»[4] e che si traduce in esempio pratico[5], così come da un continuo «movimento dinamico, dialettico, tra il fare e la riflessione sul fare»[6]. Valutando la sua stessa esperienza[7], Freire assume «l’impossibilità di scindere l’insegnamento dei contenuti dalla formazione etica degli educandi. Di separare la pratica dalla teoria, l’autorità dalla libertà, l’ignoranza dal sapere, il rispetto degli insegnanti dal rispetto degli alunni, l’insegnare dall’apprendere. Nessuno di questi termini può essere separato, in modo meccanicistico, l’uno dall’altro. Come insegnante, ho a che fare con la mia libertà e con l’esercizio della mia autorità, ma anche con la libertà degli educandi, che devo rispettare, con la formazione della loro autonomia e al tempo stesso coni tentativi di costruzione dell’autorità da arte degli educandi. Come insegnante, non mi è possibile aiutare l’educando a superare la sua ignoranza se non supero continuamente la mia. Non posso insegnare quel che non so. Ma questo non è un sapere che devo esprimere solo a parole, e con parole che il vento si porta via. È un sapere, al contrario, che devo vivere concretamente insieme agli educandi: il migliore discorso è esercitarlo nella pratica»[8]. In questo movimento di riflessione si esprimono le competenze dell’insegnante che sono innanzitutto competenze umane, seppure intenzionali, per poter affiancare il discente “afferrando” in modo sempre creativo la sostanzialità dell’oggetto appreso[9]. L’incontro creativo tra insegnante e allievo rende l’apprendimento un momento irripetibile, unico e ricco di senso che coinvolge entrambi. «Apprendere per noi – dice Freire – è costruire, ricostruire, constatare per cambiare, e questo non lo si fa senza aprirsi al rischio e all’avventura dello spirito». In questa impostazione riconosciamo la matrice idealistica, comune all’attualismo gentiliano, che in Freire assume chiari connotazioni marxiane se messe in relazione con l’idea di storia. La netta accentuazione del pedagogista brasiliano della storia come possibilità di trasformazione condiziona inevitabilmente anche la sua concezione antropologica. «La radice più profonda del fatto che l’educazione è politica, si ritrova nell’educabilità stessa dell’essere umano, che si fonda sulla sua natura incompiuta, di cui ha preso coscienza. Incompiuto e cosciente della sua incompiutezza, immerso nella storia, l’essere umano si trasforma necessariamente in un essere etico, in un essere che opera delle scelte e prende delle decisioni. Un essere legato a interessi, in relazione ai quali può mantenersi fedele all’eticità oppure trasgredirla. È proprio per il fato di esser divenuti etici, che si è creata per noi la possibilità, come ho già detto, di violare l’etica»[10]. L’uomo pertanto è condizionato in quanto calato in un contesto storico-culturale, ma non “determinato”, ovvero soggetto a quel fatalismo e a quella rassegnazione che l’ideologia dominante orientata al profitto vuol far credere come una sorta di fatalità. L’educazione non è pertanto neutrale, anzi trova la sua ragione d’essere, secondo Freire, nella possibilità della trasformazione degli eventi e delle condizioni esistenziali[11]. L’uomo, dunque, in forza di quei stessi tratti che lo caratterizzano in quanto tale, possiede un ruolo nella storia, ha la capacità di operare dei confronti, di analizzare, di valutare, di decidere, di arrivare a rotture. La scelta sociale di stare dalla parte degli oppressi dipende dalla constatazione delle illibertà, ma non esclude l’emancipazione degli oppressori. Un chiarimento che caratterizza la pedagogia degli oppressicome “pedagogia dell'uomo”. La disumanizzazione, che è conseguenzadell'oppressione, è una distorsione possibile della storia, ma noninevitabile; piuttosto è “il risultato di un "ordine” ingiusto che generala violenza degli oppressori[12].

 

2. La funzione liberatrice dell’educazione

 

L’educazione non è neutrale, abbiamo detto, perché ideologica e politica e, in quanto tale, porta con sé repertori di azioni e atti linguistici. «Specificamente umana, l’educazione è gnoseologica, è direttiva, per questo politica, è artistica e morale, si serve di mezzi, di tecniche, implica frustrazioni, paure, desideri. Esige da me, in quanto insegnante, una competenza generale, un sapere inerente ala sua peculiarità e dei saperi speciali, collegati alla mia attività di docente»[13]. Freire traccia, a questo proposito, una netta linea di demarcazione tra l’ideologia neoliberista e l’ideologia democratico-progressista. La prima è fatalista, giustifica il presente e lo status quo riproducendo le ineguaglianze; la seconda cerca di rovesciare le cause che hanno prodotto tali ineguaglianze. La prima con scaltrezza insinua la neutralità dell’educazione con la quale promuove l’addestramento degli alunni ed una cultura "depositaria", basata sulla semplice trasmissione di contenuti nozionistici a senso unico educatore-educando; la seconda ribadisce la responsabilità della scelta ideologica orientata in senso etico-solidale. La prima ha un carattere autoritario finalizzata ad assoggettare l’educando ai processi tecno-scientifici ed economici, sviluppando atteggiamenti di passività; la seconda difende l’autorità dell’insegnante in conformità con la libertà dell’educando che assume un ruolo prioritario ed attivo nel definire il proprio progetto di vita. Il valore della sua pedagogia sta nella convinzione che non vi e' cambiamento sociale e politico senza un'adeguata formazione critica delle coscienze individuali quando «cambiare è necessario»[14]. Come è possibile formare in senso critico? Freire considera innanzitutto la capacità di guida dell’insegnante nel traghettare l’allievo da una curiosità spontanea, ingenua, a quella che definisce “curiosità epistemologica”[15]. E’ un passaggio che non avviene automaticamente perché comporta un atteggiamento metacognitivo e l’appropriazione di una metodologia critica e che dal maestro di Recife è capita come superamento e non come rottura. È la stessa curiosità – afferma Freire – che cambia non nella sostanza ma nella qualità, rispettando il senso comune e mantenendo vive le domande sui meccanismi che regolano, potremmo dire marxianamente, i rapporti tra struttura e sovrastruttura ovvero sul predominio della tecnica e sui processi globalizzanti. «La liberazione - scrive Freire nel testo che lo ha reso maggiormente popolare[16] - è un parto. Un parto doloroso. L'uomo che nasce da questo parto è un uomo nuovo che diviene tale attraverso il superamento della contraddizione oppressori-oppressi, che è poi l'umanizzazione di tutti».La liberazione, tuttavia, non è opera del singolo che non può raggiungerla con le sue sole forze, né può essere eteronoma, è piuttosto il risultato di un processo che si realizza nel rapporto dialettico degli uomini tra loro, con la mediazione del mondo, dentro la storia stessa.La pedagogia di Freire, inoltre, è capita come lotta di liberazione dal neo-liberismo se si pensa che il lavoro di coscientizzazione delle masse popolari, da lui stesso sperimentato che oltretutto lo porta prima a dirigere il Centro di Educazione e di Cultura (presso i Servizi sociali di Pernambuco) e poi a fondare il Movimento di cultura popolare (nel 1961 a Recife), mira a far prendere consapevolezza delle situazioni-limite in cui si vive e a cui la gente "aderisce" senza capire il perché. Nonostante fosse considerato un rivoluzionario, comunque, nei suoi scritti non si è mai dichiarato apertamente per la violenza o la nonviolenza.

 

3. La critica al postmoderno e all’ideologia neoliberista

 

Freire vedeva nel neo-liberismo uno strumento di oppressione e di disumanizzazione sociale e culturale. Nel considerare l’accento posto sul concetto di neutralità Freire rivendica, contro la morte di dio sentenziata dalle correnti del postmoderno e le conseguenze sul piano della storia ridotta a narrazione, un’incongruenza che fa traballare «la vocazione ontologica dell’uomo all’”esser di più” (ser mais)» non in senso aprioristico, ma socialmente e storicamente[17]. Considerando il futuro «“problematico e non inesorabile[18]» si oppone alle tendenze scettiche e riduzionistiche del postomoderno che ritiene responsabile di alimentare di discorso neoliberista, ovvero il predominio del progresso tecnologico e scientifico sull’uomo stesso. Tuttavia il suo discorso non è tout court contro la tecnica e la scienza, quanto contro l’uso ideologico, distorto, che ha messo l’uomo in secondo piano, opprimendolo. «Nulla – il progresso della scienza e/o della tecnologia – può legittimare un “ordine” che crea disordine, nel quale soltanto le minoranze al potere dilapidano e usufruiscono dei beni, mentre alle maggioranze che sono in difficoltà persino a sopravvivere, si dice che è la realtà ad essere così, che la loro fame è una fatalità di questa epoca. Non unirò la mia voce a quella di chi, parlando di pace, chiede agli oppressi, ai poveracci del mondo, di rassegnarsi. La mia voce ha un’altra semantica, intona un’altra musica. Parlo della resistenza, dell’indignazione, della “giusta collera” di chi viene tradito e di chi viene ingannato. Parlo del loro diritto e del loro dovere di ribellarsi contro le trasgressioni etiche di cui sono vittime ogni volta più tormentate. L’ideologia fatalista del discorso e della politica di stampo neoliberista, è un passaggio della svalutazione degli interessi umani rispetto a quelli del mercato»[19].

 

4. Fondamenti metodologici del rapporto insegnamento-apprendimento

 

Uno degli ultimi scritti (Pedagogia dell’autonomia è del ’96), è tutto centrato sul ruolo dell’insegnamento tanto che i paragrafi hanno quasi sempre per oggetto la pratica educativa che si presenta all’educando in modo responsabile, cosciente, intenzionale. Ed è proprio in questa intenzionalità “specificamente umana” che coglie l’elemento utopico, gli ideali, i sogni, gli obiettivi che definiscono la natura politica dell’educazione[20]. Cosciente della propria incompiutezza l’uomo ha generato quel movimento permanente che è l’educazione orientato a superare gli ostacoli storici del proprio essere nel mondo. Oltre la fatalità e l’irrazionalità del vivere quotidiano si muove la speranza, altro elemento appartenente alla natura umana, legata indissolubilmente alla problematizzazione-de-problematizzazione del futuro. «Esiste un rapporto tra l’allegria, necessaria all’attività educativa, e la speranza. La speranza che insegnante e alunno insieme possano imparare, insegnare, porsi degli interrogativi, produrre e, sempre insieme, resistere a ciò che ostacola la nostra allegria. In realtà, dal punto di vista della natura umana, la speranza non è qualcosa che vi si giustapponga. La speranza fa parte della natura umana. Sarebbe una contraddizione se, incompiuto e cosciente della sua incompiutezza, l’essere umano anzitutto non si inserisse o non si sentisse disposto a partecipare a un movimento costante di ricerca e, in secondo luogo, se cercasse senza speranza. La disperazione è la negazione della speranza. La speranza è una specie di impeto naturale possibile e necessario, la disperazione è l’aborto di tale impeto. La speranza è un ingrediente indispensabile dell’esperienza storica. Senza di lei non esisterebbe storia, ma puro e semplice determinismo. C’è storia soltanto laddove c’è un tempo problematizzato e non pre-determinato. L’inesorabilità del futuro è la negazione della storia»[21]. Se la speranza è in senso proprio umana, la disperazione è provocata da particolari condizioni di vita. Tuttavia permane in quanto il futuro non è conoscibile a priori[22]. L’incompiutezza dell’essere umano, d’altra parte, provoca il rispetto della sua persona che in termini educativi si traduce in rispetto dell’autonomia d’essere dell’educando[23]. La ricerca di nuove metodologie didattiche da parte di Freire dipende dalla tensione etica che questa affermazione conduce con sé. «L’incompiutezza di cui prendiamo coscienza – afferma – ci rende esseri etici. Il rispetto dell’autonomia e della dignità di ciascuno è un imperativo etico e non un favore che possiamo o meno concederci reciprocamente»[24].

 

5. La ricerca di nuove metodologie didattiche

 

Una pedagogia tesa a valorizzare l’essere tanto da pretendere una emancipazione socio-economica e culturale e che prende atto dell’incompiutezza di natura ha maturato nella pratica educativa strumenti didattici quale l’ascolto, il dialogo, l’uso di sistemi di valutazione non calati dall’alto, ma rispettosi della libertà del discente, il rispetto delle differenze. Già ne La pedagogia degli oppressi Freire aveva annunciato il suo progetto umanistico-esistenziale per l’educazione facendo riferimento all’autenticità della comunicazione e opponendosi alla trasmissione di puri e semplici “comunicati”[25]. Nel prendere in esame le caratteristiche proprie dell’uomo, quali quella dell’apertura al mondo, il suo stare nel mondo, la curiosità ingenua, la ragione, i sentimenti, Freire propone l’ascolto come metodo non autoritario che evita al docente di imporsi sul discente “portando alla luce” la comprensione di qualcosa. In questo frangente il silenzio non è “imposto” da un ordine, ma uno spazio entro il quale va a definirsi la ricerca di senso. E’ un atteggiamento che impone un atto di umiltà, di messa tra parentesi del proprio sé aprendo la coscienza al diverso, che può essere, sottolinea Freire «chi parla o scrive al di fuori dei parametri della grammatica dominante»[26]. Dall’ascolto, che non significa per l’insegnante adeguarsi necessariamente al discente, il docente sorregge l’educando affiancandolo per tentare di giungere alla curiosità epistemologica e, quindi, ad una comprensione critica del mondo. Il dialogo autentico è testimonianza coerente di parola e gesto, audacia, scelta radicale che ha il potere di coinvolgere, coraggio di amare per cambiare ciò che va cambiato e, quindi, liberazione.

Se davanti all’uomo la realtà si presenta in tutta la sua problematicità, nel dialogo l’uomo insieme agli altri deve saper sperimentare, inventare ricercare sempre nuove soluzioni.

 

6. La forte tensione etica

 

Da quanto analizzato si comprende come la tensione etica sia sottesa ad ogni intervento educativo e come accompagni ogni singolo atto dell’insegnante. L’educazione stessa nasce, in quanto ideologica, con una forte connotazione etica che, oltretutto, si rafforza nel momento stesso in cui si decide la trasgressione, così come lo stesso cogliersi soggetti condizionati, capaci nello stesso tempo, di superare con la ribellione il condizionamento getta le basi per un’etica universale dell’essere umano, diversa sostanzialmente da quella di mercato. Freire ipotizza in questo contesto “l’etica della solidarietà umana”, «al servizio dell’uomo e non del profitto e dell’ingordigia sfrenata delle minoranze che dominano il mondo»[27]. Un dover essere che, secondo il pedagogista, si avvale del progresso tecnologico per porlo al servizio di tutti gli uomini divenuti esseri responsabili e autonomi e che, nello stesso tempo, crea la possibilità di quell’essere di più al quale l’uomo tende per natura. Voler essere di più non vuol dire prevaricare gli altri, ma realizzare, insieme alla propria vocazione e al proprio progetto di vita, l’irripetibilità della propria persona.

 

Conclusioni

 

Chi è l’insegnante per Freire? In Pedagogia dell’autonomia Freire lascia il manifesto del suo pensiero concependo l’educatore non come arrogante trasmettitore di saperi, ma con caratteristiche che superano quelle del semplice allenatore, traghettatore di saperi, addestratore di abilità. E’ colui che si avvicina all’altro senza preconcetti, con fiducia, con benevolenza, con competenza professionale e con la consapevolezza della propria intenzionalità formativa. Ma, soprattutto, è colui che riconosce, nel senso esistenzialista del termine, il valore della persona umana. Gli altri valori assumono una valenza relativa, si trasmettono con il vissuto di persone in carne e ossa nelle generazioni future sedimentandosi nelle culture. Da queste premesse ha lasciato ai posteri un pensiero-azione che seppure nato in un particolare contesto storico-culturale può essere assunto per la forte valenza etica come modello pedagogico che richiama valori universali. Contro la fine della pedagogia, decretata dal postmoderno, una valida antitesi allo scetticismo e al relativismo etico.

 

Francesca Rennis

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[1] Cfr. www.educare.it

[2] P. Freire, La pedagogia dell’autonomia, Torino, Ega Editore, 2004, p. 76: «Quanto più rifletto sulla pratica educativa, riconoscendone la responsabilità che ci esige, tanto più mi convinco del nostro dovere di lottare perché essa sia realmente rispettata. Difficilmente si può adempiere al dovere di rispettare, come insegnanti, gli educandi, se non veniamo trattati con dignità e decenza da parte dell’amministrazione privata o pubblica dell’educazione».

[3] P. Freire, La pedagogia dell’autonomia, op. cit., pp. 20-21: «…è necessario che fin dall’inizio del processo formativo, diventi via via sempre più chiaro un fatto: nonostante le differenze esistenti tra loro, chi forma e si ri-forma nell’atto stesso di formare, mentre chi viene formato si forma e al tempo stesso diventa formatore nell’atto di essere formato. In questo senso, dunque, insegnare non è soltanto un trasferimento di conoscenze e contenuti né formare è semplicemente un’azione attraverso la quale un soggetto creatore conferisce forma, stile o anima a un corpo indefinito e disposto ad adeguarsi. Non c’è insegnamento senza apprendimento, i due termini si spiegano a vicenda e i loro soggetti, pur con tutte le differenze che li connotano, non si riducono alla condizione di essere oggetto, l’uno dell’altro. Chi insegna, nell’atto di insegnare apprende, e chi apprende nell’atto di farlo, insegna».

[4] Ivi, p. 52

[5] Ivi, pp. 29-30:

[6] Ivi, p. 33

[7] Ivi, p. 75, ove afferma: «Per me non è mai stato possibile separare in due momenti diversi l’insegnamento dei contenuti e la formazione etica degli educandi».

[8] Ivi, p. 76

[9] Ivi, p. 56

[10] Ivi, p. 88

[11] Ivi, p. 115, dove afferma di avere conservato sempre la certezza che vale la pena lottare contro le deviazioni che impediscono l’uomo di “essere di più” dalla «concezione della storia come possibilità e non come determinismo».

[12] P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondatori, Milano 1971, p. 48

[13] P. Freire, La pedagogia dell’autonomia, op. cit., p. 57

[14] Ivi, p. 64

[15] Ivi, p. 26

[16] P. Freire, La pedagogia degli oppressi, p. 54 ….

[17] P. Freire, La pedagogia dell’autonomia, op. cit., p. 17

[18] Ivi, p. 18

[19] Ivi, pp. 80-81

[20] Ivi, p. 87

[21] Ivi, pp. 58-59

[22] Ivi, p. 59

[23] Ivi, p. 48

[24] Ivi, p. 48

[25] P. Freire, La pedagogia degli oppressi, op. cit. p. 92

[26] P. Freire, La pedagogia dell’autonomia, pp. 92-96

[27] Ivi, p. 103