Esistere nel caos. Città a dis-misura d'uomo

«No. Ai Tropici non ho mai suonato Chopin. Sai, è una musica che mi tocca molto da vicino. Ai Tropici si diventa molto più impressionabili». Una frase tratta da “Le braci” di Sándor Márai (edizione Adelphi del 2003, p. 86) ci introduce al tema della abitabilità. L’uomo cambia rispetto al contesto di vita. L’umanità cambia da parallelo a parallelo. La globalizzazione ci ha avviato verso una forma di “villaggio globale”, e l’ideologia che guarda positivamente a questa forma di processo economico e tecnologico ha rilevato la facilità nella comunicazione soprattutto virtuale e mediatica, evitando invece gli aspetti deleteri legati alla omologazione culturale e a nuove forme di povertà. La fragilità degli Stati nel governare questo fenomeno è visibile nel restringimento delle aree vivibili, ovvero nell’aumento della mortalità infantile, delle guerre etnico-religiose, per i controlli di territori ricchi di materie prime, negli esodi di profughi dai paesi sottosviluppati verso l’occidente industrializzato.

Consideriamo due scenari. In una campagna alla periferia di Roma alcuni bambini giocano a nascondino tra le panchine di una piazza, dove nel frattempo le rispettive madri stanno chiacchierando. Altro scenario. Spostiamoci tra le favelas di Rio de Janeiro. I bambini non sanno più cos’è il gioco, la fame è troppa per avere il tempo di pensare ad altro e quando la sopravvivenza fa da padrone il resto è superfluo. Contesti diversi in cui agiscono con graduazioni diverse globalizzazione ed economia consumistica. Con differenze che ricadono sull’esistenza anche in modo tragico.

«L’insediamento è una cosmografia, una cosmologia, ma non come può esserlo un modello statico», spiega Franco La Cecla in un testo “Perdersi. L’uomo senza ambiente” capace di offrire delle prospettive di lettura ermeneutica del presente. Con l’invadenza economico-liberista si sono spezzati gli equilibri cosmologici che restituivano caratteristiche di sicurezza del luogo. Laddove continuano a persistere legami affettivi e di stabilità economica permangono anche ideali e un senso di utopia. Il gioco ne è un tipico esempio. Laddove si è perso il contatto con la tradizione, gli affetti, le abitudini, prevale il disorientamento capace di negare la strada perfino a forme legittime di autorappresentazioni. Forte incalza il grido della sopravvivenza. In questi casi il locale perde radici, riferimenti, conoscenze utili alla comprensione della realtà. L’abitare diviene frammentato dalla contemporaneità di eventi che sembra impossibile gestire. Figurarsi il proiettarsi oltre, progettare futuri altri! Il traffico cittadino, l’assemblamento di edifici abitativi, il caotico spostarsi degli uomini spinti da bisogni di sopravvivenza, le continue minacce terroristiche, l’introduzione di alimenti di facile consumo sono espressione di una sofferenza vissuta quotidianamente. L’ONU richiama ad un e-government che ormai sembra insufficiente a recuperare dimensioni umane dell’esistere. Disorientati, dimentichiamo anche il semplice dire della solidarietà.

 

 

Francesca Rennis


 Consigliato http://www.art-bit.net/