Difendiamo la democrazia. Recensione al libro di Michele Borrelli, Pellegrini Editore, Cosenza 2009

In questo testo ritroviamo i caratteri della paideia classica, lo stretto rapporto con la politica e una forma di governo propria della polis greca, la democrazia, e in particolare quei caratteri quale l’interiorizzazione di valori universali che costituiscono l’ethos di un popolo e garantiscono una socializzazione armonica. Caratteri che vengono ulteriormente arricchiti da alcune originalità, frutto di un lungo percorso di ricerca sui fondamenti ultimi delle scienze, e della pedagogia in particolare, culminato con l’incontro lungimirante e alquanto fecondo con il filosofo tedesco Karl-Otto Apel.

Non potremmo dunque prescindere, seguendo la prospettiva proposta da Borrelli e volendo utilizzare un linguaggio matematico, da implicazioni di tipo necessarie e sufficienti fra educazione e democrazia, né dall’apporto della riflessione apeliana ermeneutico-trascendentale che nella trasformazione della filosofia kantiana ha introdotto quell’elemento intersoggettivo e comunicativo che invece sfuggiva all’Io penso.

Implicazioni di tipo necessarie e sufficienti fra educazione e democrazia in quanto l’educazione, intesa sia come processo che come funzione, non ha un significato preciso finchè non definiamo il genere di società che abbiamo in mente.

Apporto della riflessione apeliana ermeneutico-trascendentale nel senso che viene messo in gioco il senso di appartenenza alla comunità discorsiva, e la consapevolezza stessa di questo senso di appartenenza. “La novità di Apel, rispetto alla filosofia di Kant e a tutta la filosofia trascendentale – scrive Borrelli in Lettere a Kant, p. 31 – consiste nel considerare l’a priori linguistico o semiotico come punto di partenza e di approdo di ogni comprensione e conoscenza”[1].

Alla base del testo sussistono dunque presupposti teoretici ed etici irrinunciabili, mentre punto focale sono le carenze strutturali legate al contesto storico della democrazia. Lo stesso Dewey nel testo del 1916 Democrazia e educazione aveva colto i contorni fragili di una forma di governo per sua natura instabile cosicchè, a ragione, Borrelli con la fermezza che appartiene notoriamente ai suoi scritti, prende posizione fin dal titolo. Difendere la democrazia diventa la prerogativa per antonomasia soprattutto quando è ormai scontato che l’educazione e la didattica scolastica debbano essere improntate, sulla scia di quanto sostenuto dalla Carta costituzionale, sulla formazione dell’uomo e del cittadino, ovvero di una figura antropologica che assume l’appartenenza sociale e comunitaria in termini di corresponsabilità come costituente della propria esistenza, del proprio stare nel mondo.

La democrazia è instabile perché legata ad un contratto sociale che deve giustificarsi quotidianamente e che è continuamente stretta tra interessi particolari e quelli di lobby di potere, ma anche perché, possiamo dire da un certo punto di vista, quello suggerito da Norberto Bobbio, che avanza come “vero nemico della democrazia” l’uomo-massa, il conformista[2]. E di questo non ne è forse responsabile il rapporto tra potere politico ed educazione? Non ne è responsabile la disincrasia tra livello politico-istituzionale e quello pedagogico che sembrano scorrere, direbbe Cambi, su binari diversi? Lo stesso teorico della democrazia americana, Toqueville, aveva messo in guardia perché il sistema non scadesse in una sorta di “tirannia della maggioranza” o in uno schema in cui la sovranità popolare sia pura “formula politica”[3]. E qui si apre un altro varco della discussione, quello relativo all’importanza o meno delle procedure e della forma in cui si esprime la democrazia.

In questo contesto la corresponsabilità può essere letta come parola chiave, medium tra i due estremi di individualità quali quella riferita all’uomo ribelle, anarchico, trasgressivo o che non aderisce al contratto sociale e, appunto, quella riferita all’uomo massa.

Insomma le problematiche che vengono alla ribalta seguendo il testo sono davvero tante e attraversano trasversalmente i due ambiti, quello politico e quello pedagogico-educativo.

Analizziamo meglio il testo.

I primi capitoli possono essere concepiti come pars destruens, analisi destrutturante di rapporti di potere destabilizzanti e delle cause che rendono critica la situazione democratica in Italia. Gli ultimi sei capitoli propongono, invece, gli antitodi di difesa immunitaria di quell’unica forma di governo che va difesa in quanto unica possibilità di ridurre squilibri sociali e promuovere la valorizzazione e l’espressione piena delle singole individualità.

Scrive l’autore a p. 63: «Non c’è democrazia che possa affermarsi e radicarsi nella realtà sociale se essa non è espressione del tentativo di avviare processi che portino ad una diminuzione crescente dell’alienazione socialmente prodotta; se essa non persegue, cioè, come uno dei suoi obiettivi prioritari, l’indebolimento delle strutture di dominio sociali, che producono questa alienazione, a tutto vantaggio dell’aumento dell’autonomia e della libertà dei singoli cittadini».

Possiamo qui notare lo stretto rapporto tra la formazione del cittadino e la forma di governo, tra il suo destino e le decisioni politico istituzionali.

L’autore porta dunque allo scoperto, sviscerandoli, i punti dolenti di una democrazia instabile ed emergono in modo anche drammatico le responsabilità della criminalità organizzata e, in generale, di comportamenti abitudinari che sfociano nell’illegalità e che vedono la collusione con politica e istituzioni tanto che, come si nota dal sottotitolo, diventa prioritario l’inserimento di moduli didattici aventi per obiettivo la prevenzione sociale e la conseguente promozione della partecipazione pubblica.

Nel testo vengono recuperate, in una forma linguistica semplice e scorrevole, le tante problematiche legate al mantenimento della democrazia: dalla consistenza teoretica e pragmatica della partecipazione alla legittimazione del consenso, il rapporto ambivalente tra privato e pubblico a favore di quest’ultimo, la tensione etica nella prassi comunicativa e nella legislazione. Tuttavia, mi sembrano di particolare interesse due nodi che contestualmente si rivelano nevralgici dell’impostazione argomentativa, ovvero la negazione della neutralità nei curricola scolastici all’interno di una riflessione che invece è mancata nelle scuole italiane e il richiamo ad una doppia etica che caratterizzi in termini di corresponsabilità reciproca la comunicazione razionale. Dewey parlava di democrazia in termini di “vita associata” e di “esperienza comunicata e congiunta”, qui si parla di “corresponsabilità reciproca”[4]. Il passaggio concettuale non è di poco peso.

Il primo nodo prende le mosse dal confronto con quanto avvenuto in altri contesti culturali come in Germania, dove l’autore ha vissuto e si è formato per diversi anni fino ad assumere ruoli di docenza presso prestigiose università tedesche. Qui, anziché il silenzio storico adottato dall’istituzione scolastica italiana all’indomani della tragedia bellica e fascio-nazista, si è scelta la strada della re-education (ri-educazione) attraverso percorsi di educazione politica e di didattica delle scienze politiche e sociali. C’è da notare che questo punto sarebbe stato sicuramente sostenuto e incoraggiato da Bobbio che nelle Proposte di riflessione del 1989 vedeva appartenere “ai compiti della scuola in una società democratica anche quella politica, non nel senso di indottrinamento ma nel senso di educazione alla vita collettiva”.

Il secondo nodo recupera i fondamenti dell’etica del discorso tracciati dalla filosofia contemporanea a partire da Jaspers.

Scrive ancora l’autore a p. 74: «L’etica democratica vive del presupposto che tutte le persone sono interlocutori validi che possono partecipare attraverso il dialogo alla ricerca della verità e alla migliore analisi e alla soluzione più adeguata di tutti i problemi (pubblici) di volta in volta accettati e accettabili nelle condizioni più prossime alla simmetria».

Il contatto con Apel è qui immediato laddove quest’ultimo mostra le modalità “etiche” del gioco linguistico svelandone le autocontraddizioni performative e le regole etiche dell’argomentare basate su a priori quali la pretesa di senso, la pretesa di verità e la pretesa di consenso[5].

Non è difficile seguendo la lettura di quest’agile testo comprendere il sottile legame che intercorre tra una prassi democratica e il recupero di categorie che permettono una significativa svolta della democrazia; potremmo dire con l’Aristotele dell’Etica nicomachea, dall’apparenza alla sostanza.

L’autore non si lascia intrappolare in sterili dispute accademiche ma, mettendo a fuoco pericolosi luoghi comuni, propone il recupero di massime legate a valori della tradizione laico-illuminista con larghi riferimenti all’opera kantiana e alla trasformazione apeliana del trascendentale kantiano. Fuoriuscire dall’interesse di tipo privatistico per far emergere quello pubblico risponde ad una tensione etica che può esprimersi solo attraverso il dialogo e l’uso di argomentazioni razionali, al di fuori da ogni logica strumentale. Questo punto è alquanto proficuo per sottolineare e auspicare l’atteggiamento critico del soggetto-cittadino nel riconoscere e allontanare come falsi quei discorsi persuasivi basati sulla convenienza particolare e sull’utilità.

L’ultimo capitolo, interamente dedicato alla didattica di prevenzione dell’illegalità, presenta una sorta di agenda di lavoro strutturata in tre sinossi. Lo scopo non è solo quello di allargare la conoscenza sui diversi fenomeni criminali e sulle risorse in possesso di una società civile e democratica, ma anche quello di richiamare, per difendere appunto la democrazia, alla partecipazione.

Si tratta, dunque, di garantire attraverso un sistema di regole e principi la tenuta dell’ethos comune su basi democratiche considerando la complessità e le articolazioni sociali ed economico-strutturali della società contemporanea perché possiamo ancora affermare su suggerimento di Aristotele che «il governo dei liberi è più bello»[6].

 

Francesca Rennis

-----------------------------------------------------------------------

 

[1] Michele Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, pellegrini ed., Cosenza 2005

[2] Norberto Bobbio, Proposte di riflessione, 1989, da www.icbeinasco.it/comunicati/BOBBIO.pdf

[3] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Utet, 2007, in particolare il cap. XV

[4] John Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000

[5] Miichele Borrelli, Lettere a Kant, op. cit., pp. 36-37

[6] Cfr. Roberto Gatti, Filosofia politica, la Scuola, Brescia 2007 dedica un paragrafo alla Politica aristotelica laddove si considerano le caratteristiche del governo democratico.Pp.52-59

 

BIBLIOGRAFIA

Mario Alcaro, John Dewey. Scienza prassi democrazia, Laterza, Roma-Bari 1997

Karl-Otto Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di Michele Borrelli, Pellegrini Ed., Cosenza 2004

Aristotele, Etica nicomachea, Opere, Editori Laterza, Roma-Bari 2005

Aristotele, Politica, Trattato sull’economia, Opere, Vol. IX, Editori Laterza, Roma-Bari 20045

Norberto Bobbio, Democrazia ed educazione, L’educatore, Fabbri Ed., Milano 1 dicembre 1995

Michele Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini Ed., Cosenza 2005

Michele Borrelli (a cura di), Pedagogia critica, Pellegrini Ed., Cosenza 2004

John Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000

Roberto Gatti, Filosofia politica, La Scuola, Brescia 2007

Edgar Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Ed., Milano 2000

Platone, La repubblica, Arnoldo Mondadori Ed., Milano 1990

Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Utet, 2007

 

SITI INTERNET

http://www.ilt.columbia.edu/publications/dewey.html

http://xroads.virginia.edu/~HYPER/DETOC/1_ch15.htm

www.icbeinasco.it/comunicati/BOBBIO.pdf