Dall'esperienza di Angelo il valore sociale e culturale dello sport

mezza maratona 11 agosto 2007
mezza maratona 11 agosto 2007

Di scuola, manco a parlarne. Per Angelo stare in classe la mattina è davvero una perdita di tempo. Lui che ha un’intelligenza di tipo cinestetica, direbbe Howard Gardner, di stare fermo ad ascoltare parole che si rivelano senza senso proprio non ne vuole sapere. E così si assenta frequentemente. I richiami dei professori sono all’ordine del giorno, ma non riescono a produrre nessun risultato sperato. Starebbe volentieri in campagna tutto il giorno anche se il lavoro è duro, ma la fatica davvero non lo preoccupa. A sedici anni ha un fisico atletico e tanta energia da spendere. Lo comprendono alcune persone vicine a lui e alla sua famiglia, come Vittorio Pasquali, che insieme al presidente del consiglio d’istituto dell’Itis, Marcello Maio, incominciano a coinvolgerlo nello sport. Per Angelo cominciano insieme ai primi allenamenti anche i primi piazzamenti a livello di gare locali organizzate dai circoli Acli della zona.

 

Di Angelo ho perso le tracce ma ricordo il gusto che provava nel confrontarsi sulla strada. La velocità era la sfida con la quale non aveva paura a confrontarsi. E così l’abbiamo visto correre insieme ad atleti provenienti da diverse parti del mondo. Era la mezza maratona “per la pace” dedicata a San Francesco di Paola e organizzata dall’associazione “Itinerari francescani” (11 agosto 2007). Un primo posto, il risultato evidente. Ma c’era anche un altro risultato latente, ovvero l’acquisizione di una consapevolezza che solo lo sport poteva dargli. Quella di avere fiducia nelle proprie capacità e di farsi valere. Genuinamente, senza colpi bassi o tentennamenti, avvalendosi solo di se stesso.

 

In una storia come quella di Angelo, segnata anche da emarginazione e isolamento sociale, si comprende la portata sociale e culturale dello sport. Rispetto delle regole, lealtà nella competizione, il gusto ad affrontare la sfida con se stessi riescono ad essere interiorizzati anche da chi con i concetti non ha nessuna dimestichezza.

Se la valenza formativa dello sport non fosse sottovalutata e soggiogata a logiche consumistiche i campi di calcio così come le palestre o i percorsi di gara non avrebbero niente da invidiare alle aule scolastiche. L’uomo e il cittadino si formano a contatto con l’esperienza e il sapere si costruisce nel rapporto interpersonale laddove l’ambiente organizzato in modo sistematico respira aria di coerenza e di rispetto reciproco.

La violenza non è dello sport. Appartiene invece a quell’apparato di sfruttamento commerciale che se ne è appropriato spogliandolo della sua vera natura.

 

Solo qualche tempo fa si stava portando avanti una riflessione caduta in poco tempo sulla preparazione atletica di pulcini e giovani calciatori. Riguardava l’allenamento alla caduta. Ovvero i tanto adorati “mister” in alcune scuole calcio insegnano ai piccoli allievi come buttarsi a terra in caso di fallo per far ricadere la colpa sull’avversario. A questi livelli lo spostamento dalla legalità all’illegalità avviene senza traumi. Viene bypassato dalla credibilità dei formatori, ed è a questi livelli che dobbiamo davvero cominciare a preoccuparci soprattutto come genitori. Non permettiamo che i nostri figli diventino pedine a comando, marionette senza fili, automa consenzienti pronti ad inchinarsi davanti al potere del mercato. La loro anima ha un valore non quantificabile.

Quando, ci chiediamo, i nostri ragazzi potranno giocare sui campi di calcio pensando alla partita anziché al campionato? Sarà ancora possibile entrare in uno stadio senza la paura di rimanerci secchi per l’esuberanza, per non dire la criminalità, di qualche tifoso?

 

Francesca Rennis

 

http://www.percorsifrancescani.it/evento.htm